Editoriali
La supplica alla Madonna di Pompei è un messaggio ancora valido
Quanta profondità nelle ricchezze che i nostri padri ci hanno consegnato! Un tesoro da rispolverare per vivere in Dio il nostro tempo.
“Dal trono di clemenza, dove siedi regina, volgi Maria il tuo sguardo pietoso su di noi, sulle nostre famiglie, sull’Italia, sull’Europa, sul mondo”.
La supplica alla vergine di Pompei la ripetiamo almeno due volte all’anno. La ripetiamo perché ha ancora da dirci qualcosa. Spesso mi ritrovo in mano con libelli di preghiera e giaculatorie ormai ingialliti, segno di una stampa di decenni fa e, ancor più, di pratiche religiose lontane nel tempo. Poi guardo alle prime pagine del medesimo libro, e leggo la parola “imprimatur”. Umanamente, potrebbe venire da chiedersi se quelle preghiere siano ancora “valide” o solo un reperto del passato, fatto di parole ed espressioni un po’ desuete.
L’altro giorno, in una libreria, ho rinvenuto un libro di testo di religione adottato al Geometri di Cosenza negli Anni Sessanta, con un’impostazione legata al catechismo di Pio X. San Pio X.
Che tesori abbiamo per le mani! Spesso facciamo fatica, immersi come siamo in un mondo in continua evoluzione, a cogliere la profondità della preghiera semplice, della dottrina elaborata, della fede creduta e praticata di quelli che ci hanno preceduto. Sì, quelle preghiere sono ancora valide perché ci raccontano Dio.
In questo giorno di comunione con Maria, oltre a recitare la bellissima supplica di Bartolo Longo, soffermiamoci dunque sul Dio che contiene e ci racconta: il trono di clemenza esprime il nome stesso di Dio, la sua misericordia, che in Maria diventa davvero “mistica scala” da percorrere per arrivare al Cielo. Chissà quanti, recitando quell’invocazione e le parole che ne seguono, dalla pregnanza tanto personale e tanto universale come un cuore dilatato, abbiano elevato la propria speranza al Signore in questo tempo di incertezza.
Non è un peccato recitare le preghiere mnemonicamente, ma è ancora più bello calarsi dentro la ricchezza che in ognuna di esse si fa “presenza di Dio”.