La Tomba di Strongoli

Il reperto è un altro testimone della ricca storia culturale della popolazione dei Brettii

Tra i tanti reperti della storia bruzia, che arricchiscono il patrimonio archeologico calabrese, vi è la Tomba di Strongoli. Questo testimone meriterebbe maggiori attenzioni da parte della autorità locali, considerando lo stato di abbandono nel quale attualmente riversa. Ubicata tra Thurii (Sibari) e Crotone nella Brettia Ionica, questa tomba è stata rinvenuta casualmente nel luglio 1972, in seguito ai lavori per una condotta idrica presso contrada Gangemi, vicino Strongoli, in provincia di Crotone. Quest’area fu interessata dal processo di colonizzazione greca, iniziato nel Sud Italia a partire dall’VIII secolo a.C. In particolare, Strongoli (l’antica Petelia segnalata da Strabone) fu conquistata dal popolo sannitico dei Lucani, fu ellenicizzata, cadde in seguito sotto il controllo di Crotone, dopo la distruzione di Sibari, quindi fu invasa dai Brettii a partire dalla metà del IV secolo a.C. Strongoli-Petelia era il più importante centro politico della Brettia insieme a Cosentia. La tomba a camera, oggi purtroppo interrata, si trova su un’area pianeggiante ad un’altezza di 264 km, affacciata sul versante ionico. I primi scopritori ruppero la lastra superiore di chiusura dell’ingresso e depredarono parte del corredo funebre contenuto all’interno. Altri oggetti furono recuperati dal proprietario del terreno, su cui è posta la tomba, che li consegnò all’Ufficio Scavi Sibari dove furono restaurati e poi trasferiti al Museo Nazionale dei Reggio Calabria. A novembre 1972 l’archeologa Silvana Luppino fu incaricata dal Soprintendente per le Antichità della Calabria ad eseguire i lavori per la sistemazione dell’area intorno alla tomba, duramente compromessa a causa di vari episodi di smottamento del terreno provocati dal maltempo. I risultati delle sue ricerche furono pubblicati nel saggio Per l’archeologia dei Brezi. Due tombe fra Thurii e Crotone (1980), che scrisse a quattro mani con il collega archeologo Pier Giovanni Guzzo. L’esperta riuscì a recuperare un’altra parte del corredo funebre, che era rimasto intrappolato nel terriccio trasportato dall’acqua all’interno del monumento. La tomba è a pianta rettangolare, orientata in direzione est-ovest, con ingresso ad est, è rivestita da blocchi parallelepipedi di varie dimensioni, disposti sui due lati lunghi e su quello settentrionale breve, ed è arricchita da tre lastroni sovrapposti e da un architrave che formano la fronte. Nella cella rettangolare è stato rinvenuto solo un letto funebre, costituito da un unico blocco accostato alla parete sud, con un piano di posa lievemente approfondito e un cuscino schematico, decorato da tre scanalature trasversali. Il tumulo è stato costruito con blocchi di reimpiego in pietra arenaria e non presenta misure regolari perché, con molta probabilità, il materiale antico riutilizzato subì un progressivo riadattamento durante la messa in opera. Lo strato esterno di interro era formato da argilla compatta, mista a ghiaia, ciottoloni, frammenti di blocchi sagomati e scaglie di arenaria. Doveva esserci anche un vespaio, cioè un solaio innalzato per rinforzare i muri perimetrali. In questo reperto gli elementi decorativi riguardano la costruzione del soffitto interno della camera e la porta, su cui sembrano evidenti influssi alessandrini giunti in Italia Meridionale e raccolti, specialmente, in area apula. Il mausoleo doveva appartenere ad una donna di alto lignaggio con un ricco corredo funebre, databile al 325-300 a.C. L’alto status sociale è segnalato, in particolar modo, dagli oggetti consegnati dal proprietario del terreno e da quelli riportati alla luce, con molta probabilità di produzione anche locale e specifici dei corredi delle donne. Ci sono infatti utensili di adornamento come fibule in argento, una corona bronzea (simbolo di prestigio e di ricchezza), un anello d’argento, oggetti tipici della gestione dell’oikos (ambiente domestico) come frammenti di lame di coltello da cucina e alari in ferro, vari elementi di terracotta, recipienti decorati dalla struttura omogenea in argilla, una pisside (vaso) skyphoide, decorata con figure femminili, un lèbes gamikòs o lebes nunziale (vaso da matrimonio) di argilla rosata, di tradizione greca, usato per l’aspersione della sposa prima del matrimonio, con immagini sempre femminili, una bottiglia a corpo ovoidale, frammenti di lekane (coppa) in argilla rosata, diversi oggetti ceramici a vernice nera o acroma, come anfore e piatti e altro ancora. La Tomba di Strongoli è, a tutti gli effetti, uno dei monumenti funebri appartenente ad un personaggio dell’alta aristocrazia del popolo dei Bruzi, che si imposero dopo la loro separazione dai Lucani. Il potere che ebbero in vita continua anche dopo la morte, come testimonia la particolare costruzione dell’edificio, ben diversa dalla sepolture a cassetto e a cappuccina.