L’omelia di mons. Nunnari per la Messa dell’Ascensione

Il presidente dei Vescovi calabresi ha presieduto l'Eucarestia nella Cattedrale di Cosenza davanti alle telecamere della Rai che hanno trasmesso la funzione in diretta sul primo canale. Una riflessione sul brano evangelico dell'Ascensione di Cristo al cielo.

Il senso di un Evento

 

“Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu assunto in cielo e sedette alla destra di Dio”. Parole semplici e scarne per un evento immenso. È il momento in cui ha termine un fatto unico nella storia: la presenza fisica di Dio, divenuto uomo dentro la vita degli uomini.Una storia, la Sua, che affonda le radici nell’Eterno, ma sperimenta la dimensione del tempo: in un “movimento” divino-umano di “discesa” e di “ascesa”

Un movimento di discesa. Il Verbo, il Figlio unigenito di Dio,  “non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma … spogliò se stesso”. Ecco la “discesa” di Dio. “Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo”: così preghiamo nel Credo. Mirabile mistero della tenerezza, della misericordia di Dio! Egli venne a cercarci dove noi eravamo caduti: nella morte eterna. Si “distaccò” dalla pace e dal silenzio della sua eternità per venire dentro i conflitti e il tumulto della nostra vita temporale. In una parola, si fece simile in tutto a noi, fino alla morte. Visse in sé stesso – dal primo all’ultimo respiro della sua vita umana – il dramma della nostra salvezza.

Un movimento di  ascesa Nel sepolcro, la sua umanità distrutta dalla morte viene investita dalla gloria divina; è la Risurrezione! E proprio in quel “risorgere” sta la radice della sua “Ascensione”. Ascende, Cristo, con quella natura, che è la nostra: la natura umana. E’ la natura umana che, in Cristo, ascende a dignità divina; viene elevata e diventa partecipe della stessa vita di Dio. Le parole umane sono incapaci di esprimere il fatto di questa elevazione della natura umana in Cristo, e ricorrono a narrazioni fatte di immagini e ci presentano i discepoli che stanno con gli occhi fissi verso il cielo… Ma il mistero di ciò che è accaduto è riassunto in 10 parole: “fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio”.

 

La domanda e la meta

 

C’è una domanda, carissimi fratelli e sorelle, che sta dentro il cuore di questa festa; ed è la domanda che sta dentro il cuore di ognuno di noi, quando siamo capaci – nel frenetico vivere quotidiano – di fermarci un attimo e pensare: dove siamo destinati a finire? quale è la meta ultima della vita, il traguardo finale del nostro faticoso pellegrinare? All’uomo di oggi, che vuole navigare sempre a vista, perché spesso non sa più dove è diretto, la Chiesa svela quale è il porto definitivo: “Viviamo nella speranza di raggiungere Cristo, nostro Capo, nella gloria”.

 “Vedete” – ci esortava alcune domeniche fa l’apostolo Giovanni – “quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio e lo siamo realmente … noi fin da ora, siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato rivelato” (1Gv 3,1-2). La celebrazione dell’Ascensione ci svela “ciò che saremo”, quale è la nostra patria definitiva, il nostro destino finale: essere dove è Cristo! Ci liberi il Signore da una visione dell’uomo – oggi, purtroppo, sempre più diffusa – secondo la quale il destino dell’uomo “si chiude” dentro il tempo.

Io penso, miei cari fratelli e sorelle, che negare che l’uomo sia destinato all’Eterno è, in fondo, la radice di ogni violazione della dignità umana, di ogni delitto, di ogni sopruso, di ogni orrore. Guardare all’Eterno è, invece, la radice del rispetto dovuto ad ogni vita umana, che trova in Dio la sua origine e in Dio la sua meta.

La “strada” e i “segni”

 

Gesù, però, non ci indica solo la meta. Ci traccia il sentiero. “Io sono la Via” aveva detto. Ed ecco la strada per i discepoli e per chiunque dice a Lui il suo sì: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato”. Gesù non usa mezzi termini. Le sue parole sono chiare. E’ il suo eterno “Si se è sì, no se è no”. E Lui questo vuole che noi diciamo: sempre e dappertutto la Verità: anche quella che è scomoda, che ferisce. Perché è vero che tutti, dico tutti, possiamo essere salvati; ma è vero che saremo salvati solo se lo vogliamo. “Colui che ha creato te senza di te – scrive sant’Agostino – non può salvare te senza di te”.

 

Oggi la Chiesa celebra la 49ma Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali; il Santo Padre nel suo messaggio ha indicato la famiglia come l’ambiente privilegiato della comunione e della comunicazione. Nella nostra diocesi, così come ci ha chiesto il papa, con il festival nazionale della comunicazione (celebrato qui per i novantanni del nostro settimanale diocesano Parola di Vita) abbiamo messo al centro della nostra riflessione proprio la famiglia nelle sue fragilità e nelle sue potenzialità, contemplandola come la culla della vita e dell’amore, come luogo dove si educa alla fede e alla solidarietà, dove si apprendono i linguaggi nuovi, primo fra tutti quello dell’amore.

 

Proprio nella famiglia possiamo incarnare i “segni” ai quali Gesù fa riferimento garantendo che “accompagneranno quelli che credono”.

 

cacciare i demoni è combattere il potere del male che strangola la vita e riduce l’uomo ad una cosa… 

prendere in mano serpenti significa vincere il veleno. Quante cose avvelenano la famiglia e vita stessa! Penso alle chiacchiere che rovinano la relazione fra persone; alle maldicenze; alle calunnie… 

 

curare i malati é vivere quelle che la Chiesa chiama opere di misericordia spirituale e materiale; stare accanto agli ultimi, agli ammalati, agli abbandonati,  agli sconfitti; recarsi con tenerezza dentro quelle che papa Francesco chiama “periferie”, che non sono soltanto quelle fisiche, ma quelle umane, spirituali, interiori…

 

 – parlare lingue nuove: è cominciare a comunicare con gli altri in modo nuovo, vivere una serie di linguaggi nuovi:  a) il linguaggio del silenzio: “Ti ascolto”. Faccio silenzio e ti ascolto; ascolto le tue parole e il tuo cuore; ascolto la natura, il canto degli uccelli, il silenzio della notte, il mio cuore che batte …b) il linguaggio degli occhi: “Fermiamoci e guardiamoci negli occhi”: riusciremo a capirci, perché gli occhi sono lo specchio dell’anima. c) l linguaggio del cuore: esprimere le emozioni, le gioie, le paure, i bisogni, i desideri…

d) il linguaggio dell’anima: non avere paura di piangere di gioia, o di dolore… di commuoversi, di stupirsi, di meravigliarsi, di essere felici.

 

Cristo, asceso in cielo, vuole condurci, miei cari, a mete sempre più alte.

La Madre, Sua e nostra, che ha tenuto nel grembo e tra le braccia la Verità divenuta carne e ha contemplato nel silenzio e nello strazio dell’anima il Figlio Crocifisso per amore, sia la compagna e la guida in questo nostro faticoso, ma stupendo cammino!

* Presidente della Conferenza episcopale calabra.