L’Onu compie 70 anni

Non cambierà il mondo, ma è meglio averla. Un bilancio delle Nazioni Unite oggettivamente in chiaro scuro. È un dato di fatto che il mondo non ha vissuto un'altra guerra mondiale dal lontano 1945. Il ruolo dei segretari e delle grandi potenze. Certo, l'ideale sarebbe migliorare l'azione del Palazzo di vetro.

L’Onu compie settant’anni. Non sembra in grande forma, ma è difficile dire se sia colpa del tempo che passa. In effetti, verrebbe quasi da dire che se le Nazioni Unite sono oggi stanche e appesantite, non è tanto a causa dell’età, ma piuttosto di un problema congenito, non così grave da condurre alla morte dell’istituzione, ma cronico e incurabile. Andiamo per ordine. Da quando sono nate, le Nazioni Unite hanno suscitato grandi speranze e provocato dolorose delusioni, con l’opinione pubblica mondiale che si è sempre divisa (e continua a farlo tuttora) fra ferventi sostenitori e aspri critici del Palazzo di vetro. È difficile trovare valutazioni bilanciate dell’operato Onu, perché l’Organizzazione nasce con un’ambiguità di fondo sulle sue finalità. Avrebbe dovuto essere l’embrione di un nuovo governo mondiale o semplicemente un forum permanente di discussione fra gli stati membri per tentare di aumentare un po’ la trasparenza nelle relazioni internazionali? Forse la verità sta nel mezzo, così come il rendimento dell’Onu in questi settant’anni di vita istituzionale. Non ci sono dubbi che se dal 1945 a oggi non è scoppiata una terza guerra mondiale, ciò non è accaduto per merito dei difensori della pace mondiale che vegliano su di noi nel Palazzo di vetro, ma principalmente come conseguenza di condizioni strutturali, fra cui, è triste ma corretto ammetterlo, l’equilibrio nucleare fra le due superpotenze durante la Guerra fredda. Tuttavia, è anche giusto sottolineare che le mediazioni dei Segretari generali dell’Onu e dei loro inviati hanno aiutato a risolvere molte crisi nel corso dei decenni, o perlomeno hanno tentato la via diplomatica in casi in cui nessuno stato sarebbe stato accettato come mediatore, oppure quando nessuno si faceva avanti per assumersi responsabilità di mediazione. Allo stesso modo, è vero che molti sono stati i fallimenti delle operazioni di peacekeeping Onu (come dimenticarsi di Srebrenica?), che queste vengono dispiegate o meno anche in base a criteri politici e che i caschi blu hanno grossi problemi in condizioni di conflitto aperto. Tuttavia, seri studi empirici hanno anche mostrato che le missioni Onu, laddove sono state impiegate, hanno ottenuto buoni risultati nel consolidamento della pace e nella protezione dei civili dalla violenza bellica. In ambiti meno legati alla sicurezza internazionale, l’ambivalenza si ripropone. Se agenzie come l’Unicef e l’Unhcr fanno cose egregie per la protezione dell’infanzia e dei rifugiati, è anche vero che alcune iniziative del Consiglio per i diritti umani hanno avuto un forte sapore di strumentalità e ci si chiede come possano proteggere i diritti umani Paesi che li violano sistematicamente. Inoltre, fra i problemi più evidenti dell’Onu e delle sue agenzie collegate ci sono la struttura elefantiaca, gli sprechi, i compensi esorbitanti dei funzionari. In breve, l’enorme fetta di budget che se ne va nel mantenimento della macchina stessa. Si tratta certamente di un problema rilevante, ma non accade anche in molti Stati? Così, proprio come accade in molti Stati, al di là dei limiti istituzionali la differenza possono farla le persone. Quando l’Onu ha avuto alla propria guida Segretari generali decisi, motivati, con una chiara strategia politica, l’istituzione è riuscita spesso a uscire dal letargo e a convincere le grandi potenze della propria utilità. Ban Ki-moon non ha brillato per efficacia. Tuttavia, è pure vero che i governi delle grandi potenze negli ultimi anni hanno trascurato l’Onu più del previsto, ed è difficile dire che ciò sia stato un bene per la politica internazionale contemporanea. Insomma, l’Onu non salverà il mondo, ma meglio averla che non averla. Certo, l’ideale sarebbe migliorarla.