Malati di inflazione zero

Italia anemica. E pensare che si sono 400 miliardi di liquidità nelle banche.

Zero per cento: non c’è inflazione in Italia, per il secondo anno consecutivo. Per la precisione il tasso inflattivo nel 2015 è stato dello 0,1%, ma si fa prima a dire che i prezzi sono inchiodati ormai da diverso tempo. Cosa buona? Cosa cattiva? Parrebbe la prima, purtroppo è la seconda. Chi di noi ha vissuto in tempi in cui l’inflazione cresceva al 15-20%, potrebbe considerare cosa buona il fatto che i prezzi non corrano verso l’alto: cosa che è segno di una gravissima malattia dell’economia, che costringe le retribuzioni a inseguire affannosamente senza mai colmare il buco creato dall’inflazione stessa. Quindi un continuo impoverimento della popolazione, soprattutto per le fasce basse di reddito. Ma se la febbre a 40 è una minaccia che fa paura, anche il termometro fermo a 35 segnala un’anomalia preoccupante: il corpo non reagisce, l’organismo non ha stimoli per affrontare la quotidianità. Così è l’inflazione zero, tra l’altro anticamera di quella deflazione (i prezzi che addirittura si abbassano) che porta con sé un altro tipo di declino contro il quale non si conoscono antidoti. Insomma significa che l’Italia è anemica. Non cresce più; e i dati del Pil degli ultimi vent’anni testimoniano che la spinta propulsiva del Dopoguerra – e gli anni del boom economico – sono da tempo archiviati. Certo, c’è benessere, più di quanto raccontino i numeri. Ma c’è anche un continuo seppur lento declino, come di una famiglia con un buon patrimonio (anche se con molti debiti sulle spalle) che di anno in anno s’impoverisce un pochino. L’inflazione zero è figlia di consumi interni sempre più gelidi. Gli italiani spendono sempre di meno, per una molteplicità di cause – alcune pure virtuose – che tutte quante portano dentro ad una spirale: meno consumi, meno beni prodotti, meno lavoro, meno reddito da spendere. Finora ci hanno un po’ sostenuto le esportazioni. La situazione sarebbe già in piena deflazione, se non fosse per un export che negli ultimi anni ha un po’ compensato il crollo del mercato interno. Ma pure le vendite all’estero stanno ora soffrendo: mercati come la Russia e il Brasile sono in discesa libera, è ferma la Cina, non si muove granché l’India, la Germania spende sempre di meno per comprare prodotti italiani. Solo gli Usa danno qualche soddisfazione, soprattutto grazie al cambio euro-dollaro. Ma il panorama non è rassicurante. È finita, dunque? È declino, punto? Il governo coltiva un certo ottimismo perché l’Italia ha una gigantesca “riserva d’acqua dolce” ora congelata: più di 400 miliardi di liquidità ferma in conto corrente. Frutto della paura del futuro, della mancanza di certezze, di una crisi troppo lunga dalla quale non siamo mai realmente usciti. Sbloccarne anche solo una parte, permetterebbe di rianimare proprio quei consumi interni che “fanno” inflazione (quella “sana”, desiderabile, sta al 2% annuo), ripresa economica. Ci vogliono politiche intelligenti che stimolino consumi intelligenti (si pensi ai temi delle riqualificazioni urbanistiche, delle risorse energetiche alternative, dell’abbattimento dell’inquinamento, dell’estensione di una rete potente internet in tutto il Paese); ci vuole soprattutto maggiore fiducia. Da creare, da avere.