Manal, straniera nella sua patria

La storia di una marocchina in Italia da cinque anni in attesa della cittadinanza. "Da calabrese adottata ho fatto mia la solarità di questa terra"

Stranieri in patria. È questa la condizione di migliaia di figli di genitori immigrati che sono arrivati fin da piccoli nel nostro Paese. Italiani di fatto ma stranieri per la legge. Sono cresciuti, vivono e studiano in Italia, parlano la nostra lingua e sono integrati perfettamente nella società ma non sono sempre stranieri anche se oramai l’Italia è il loro Paese. Costretti per diventare cittadini italiani, nonostante il tempo trascorso nel nostro Paese a seguire l’iter burocratico  di un qualsiasi cittadino straniero che giunge nel nostro Paese. Un vero e proprio percorso ad ostacoli  che prevede non solo 10 anni di residenza ininterrotta nel nostro Paese, il raggiungimento della maggiore età, ma anche una serie di requisiti. Un iter molto più tortuoso rispetto a quello che è costretto a seguire chi acquisisce la cittadinanza perché ha un antenato italiano o sposa un cittadino italiano. Lo sa bene Manal Makboul, 22 anni dei quali ben 17 trascorsi in Italia, in Calabria.

 La sua storia inizia a Casablanca, una delle più grandi città del Marocco. E’ in questa metropoli della regione del Maghreb  che è nata e ha vissuto fino all’età di 5 anni quando con la mamma che considera  “il suo esempio di forza e coraggio”, ha deciso di venire in Italia. “Ho trascorso poco tempo della mia infanzia nella mia terra d’origine. Ho dei  ricordi bellissimi del luogo.  Torno in Marocco- ci racconta la giovane Manal- abitualmente per le vacanze per poter trovare i miei nonni ed il resto della mia famiglia. E’ una terra meravigliosa, dove la tradizione e  la modernità si legano e lasciano spazio l’una all’altra. Trovo l’Italia un Paese particolarmente accogliente, e da calabrese adottata la solarità di questa terra l’ho fatta mia”. 

Com’è stato ritrovarsi a vivere in Italia? Ha avuto difficoltà a integrarsi?

Il mio adattamento in Italia è stato molto naturale. All’età di cinque anni è facile abituarsi ad un nuovo ambiente, ma devo ammettere che lo è stato anche per mia mamma, e questo è stato dovuto all’aiuto di persone squisite che ci hanno aiutato nel nostro percorso con una solidarietà e affetto esemplari., con le quali è nato un rapporto di sincera amicizia, che tutt’ora  continua.

Com’è vivere da straniera in un Paese che è ormai suo?

Sento il mio bagaglio culturale, umano, affettivo intriso in modo indelebile dall’Italia.  Sicuramente però mi addolora non poter essere riconosciuta dalla mio Paese cittadina Italiana, a causa di burocrazie infinite, che non privilegiano chi come me è cresciuto fin da bambina in Italia.

Cosa significa non essere italiana?

Ho provveduto a richiedere la cittadinanza da alcuni anni, ma i tempi sono lunghissimi, e dovrò ancora aspettare. Intanto non godo diritti come il voto, non posso viaggiare senza necessità  di visto in Paesi che non fanno parte dell’accordo Schengen ( come l’Inghilterra). Soprattutto però il non essere cittadina italiana mi costringe a rinnovare ogni anno un permesso di soggiorno per motivi di studio, con tasse e sacrifici annessi.

Com’è vivere per una musulmana  in un Paese in prevalenza cattolica?

La differenza religiosa, per chi rispetta e coltiva il valore della tolleranza non può essere un problema o un ostacolo per l’integrazione.

* Intervista integrale sul numero di Parola di Vita del 5 febbraio