Maria porto di salvezza per Petrarca

Quest’anno ricorre l’anniversario della morte di un grande intellettuale che, come Dante, ebbe una certa formazione cristiana: Francesco Petrarca. 

Sono trascorsi, infatti, 650 anni da quella fatidica notte fra il 18 e il 19 luglio del 1374, quando lo scrittore esala l’ultimo respiro ad Arquà vicino Padova. Nato ad Arezzo il 20 luglio del 1304, esattamente 720 anni fa, Petrarca è considerato un grande linguista, poeta e filologo nonché uno dei padri fondatori della letteratura italiana insieme a Dante e a Boccaccio. Il padre ser Pietro di Parenzo detto Petracco, notaio per professione, si sposta di città in città dopo essere stato esiliato, per aver appoggiato i guelfi bianchi contro quelli neri saliti al potere a Firenze. Nel 1312 si trasferisce con la famiglia a Carpentras vicino ad Avignone in Francia, dove ottiene vari incarichi presso la corte pontificia. Petrarca viene avviato agli studi giurisprudenziali dal padre, dividendosi tra la Provenza e Bologna. La vita del poeta è segnata, fin dai primi anni, da fatti dolorosi che lasciano dentro di lui un grande vuoto, come la morte della madre Eletta Canigiani avvenuta tra il 1318 e il 1319, e la scomparsa del padre nel 1326. Abbandonati gli studi in legge, Petrarca torna in Francia mettendosi al servizio del cardinale Colonna. Prende gli ordini minori, che gli assicurano una certa forma di sostentamento economico, senza tuttavia rinunciare ad avere dei figli. La sua è una personalità doppia: da un lato vuole interessarsi alla famiglia e rispettare la scelta di vita consacrata che ha fatto, dall’altra è propenso a trasgredire le regole. Entra nelle corti di vari signori italiani e stranieri come un intellettuale “senza patria”, non legato ad alcuna città. Siamo nel Trecento, il secolo durante il quale sorgono una miriade di piccole signorie (I Correggio, i Malatesta, gli Scaligeri, i Carraresi, i Gonzaga, gli Estensi, i Pio) gravitanti attorno ai primi grandi stati sovraregionali. Il mondo delle corti da lui frequentato decreta il successo della poesia volgare, soprattutto lirica, scelta come principale strumento di comunicazione letteraria. La cultura di Petrarca spazia dalla conoscenza dei romanzi francesi alla poesia della scuola stilnovista, dai testi religiosi e teologici a quelli della tradizione classica greca e latina, dall’interesse per la filologia testuale alle rime amorose giovanili. Tra le sue opere latine bisogna ricordare il “De vita solitaria” e il “De otio religioso”, che esaltano la solitudine, il “Secretum”, che è un dialogo che il poeta intrattiene con Sant’Agostino incentrato sulla sua crisi interiore, le “Epistole” contenenti lettere suddivise per argomento (familiari, metriche, senili ecc) e il poema epico “Africa” che ricalca l’Eneide virgiliana. Viene consacrato il primo “poeta laureato” della modernità nel 1341, non solo perché autore di rime sparse in italiano, ma per il fatto di essere un poeta “tragico”, un nuovo Virgilio che innalza al massimo grado il linguaggio lirico, uno storico della romanità che fa fiorire la sua letteratura all’ombra della migliore tradizione classica. Petrarca aspira in vita alla fama mondana per la pubblicazione delle sue opere in latino, la lingua colta che lui ritiene superiore al volgare. Ciò non gli impedisce, tuttavia, di dedicarsi alla produzione di liriche in volgare che, in seguito, raccoglie organicamente nella sua opera più importante, il “Canzoniere” o “Rerum Vulgarium Fragmenta” (frammenti di cose volgari), che ha la sua maggiore rappresentazione nella cosiddetta “vulgata” (Vaticano lat. 3195), fondamento di tutte le edizioni moderne, parzialmente redatta dal copista Giovanni Malpaghini e in parte autografo originale dello stesso autore. Costituita da 366 componimenti divisi in sonetti, canzoni, madrigali, sestine e ballate, scritti tra il 1336 e il 1374, questa raccolta di liriche è la più imitata nella storia della letteratura occidentale. I frammenti, considerati solo apparentemente poesie minori (“nuge”), raccontano la storia d’amore tra l’intellettuale e la sua amata Laura, che conosce per la prima volta il 6 aprile 1327 nella Chiesa di Santa Chiara ad Avignone, nel periodo della sua spensieratezza giovanile. Marco Santagata, scrittore, docente e critico letterario, tra i massimi studiosi di Dante e Petrarca, sostiene che in questa raccolta il poeta “parla del suo amore appassionato, con inquietudine, dubbi, pena, desiderio, turbamento e nostalgia … Quel “male di vivere” che, da allora, la lirica europea ha sempre portato con sé”. La peste del 1348, che devasta l’Italia e l’Europa, gli porta via la sua donna, proprio colei che è sempre stata al centro dei suoi pensieri e a cui ha rivolto il suo affetto non contraccambiato. Quest’oscuro fatto storico coincide con un profondo turbamento interiore da parte dello scrittore, che si appella alla fede cristiana per trovare un po’ di conforto. Si rende conto di essersi allontanato da Dio e di aver commesso peccato, a causa della smaniosa ricerca della gloria terrena. L’atto di ricucire insieme i frammenti sparsi dei suoi versi, dando vita al Canzoniere, altro non è che il tentativo di ricomposizione dei pezzi della sua anima divisa. Forte anche della lettura delle “Confessioni” di Sant’Agostino, il libro della sua esistenza, Petrarca compie un percorso di liberazione svincolandosi dagli errori passati e tendendo sempre più alla consolazione di Cristo, che gli permette di diventare un uomo nuovo. Al vano sogno d’amore vissuto nella speranza terrena di poter possedere Laura, l’aretino contrappone l’amore per Dio e per la Vergine Maria. Alla fine del suo “viaggio di espiazione” Petrarca chiude il suo Canzoniere con la canzone 366° dedicata alla Madonna, colei che che colmerà il vuoto lasciato dalla scomparsa della sua madre terrena. Quest’inno mariano raccoglie i fili degli spunti penitenziali e degli aneliti alla salvezza sparsi lungo tutto il Canzoniere, chiudendo l’attesa aperta nel sonetto proemiale (“Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono”), in cui il poeta annuncia l’estrema aspirazione al cielo e l’agognato recupero della moralità smarrita. Con la canzone conclusiva “Vergine bella, che di sol vestita”  Petrarca esalta Maria con gli aggettivi più significativi: lei è bella, saggia, pura, benedetta, gloriosa, unica al mondo, dolce e pia, chiara e stabile in eterno, regina del cielo, benigna, soccorritrice dei miseri, madre, figliola e sposa di Dio. Il poeta rivolge alla mamma celeste il suo grido di dolore (“Miserere d’un cor contrito, humíle”) cioè “aiutami a rialzarmi, a consacrare a te la mia vita e la mia poesia”. Petrarca chiede alla Santissima Vergine di raccomandarlo al Figlio per trovare la sua pace e per porre fine, in questo modo, al suo dissidio interno. La Madonna prende così il posto di Laura nel cuore del poeta diventando destinatrice delle sue rime e dei suoi sospiri finali. La canzone alla Vergine ha indubbiamente un legame con la preghiera “Vergine madre, figlia del tuo figlio”, pronunciata da San Bernardo nell’ultimo canto del Paradiso dantesco, nella quale il Sommo Poeta sottolinea l’aspetto regale della madre di Dio. L’epilogo mariano è un indizio del fatto che Dante, lirico e comico, si stava sempre più imponendo come uno dei modelli, ideologici e narrativi, determinanti per la struttura del Canzoniere petrarchesco. Il poeta aretino doveva avere in mente anche Bernardo di Chiaravalle, il monaco cistercense ripreso dal Sommo poeta nella sua Commedia, riconosciuto come uno dei più grandi mistici del Medioevo, profondamente devoto alla Madonna. I veri e i grandi poeti di un tempo sapevano amare e cantare le loro donne ma, allo stesso tempo, non si sentivano umiliati a credere e a venerare Dio e Maria, invocando la pace per la propria esistenza. Sono tante le iniziative organizzate in Italia e all’estero per celebrare i 650 anni dalla morte di Petrarca, tra cui la pubblicazione del libro “Invito ad Arquà” (Proget edizioni) che intreccia la ricorrenza di quest’anno dedicata all’aretino con i 250 anni dalla nascita dell’abate Giuseppe Barbieri. Quest’ultimo pubblicò un’epistola “Invito ad Arquà” invitando i suoi lettori a visitare il borgo euganeo, nel quale Petrarca trascorse gli ultimi anni di vita e dove ora riposa.