Martin Buber e la relazione umana

Attualità della scelta della relazione nel cammino dell’uomo

Risulta estremamente polisemico il concetto di bene relazionale oggetto di analisi da parte di sociologi e antropologi, filosofi ed economisti, intellettuali di estrazione politica diversi. Al di là delle svariate interpretazioni e prospettive tutti concorrono nel sottolineare come sfugga la capacità di cogliere appieno il significato dell’interumano, ovverosia dello spazio che intercorre fra uomo e uomo. Ciò nondimeno non si esita da parte di molti ad individuare il peso economico e politico oltre che la valenza morale ed educativa del fare relazionale. Indubbiamente il bene relazionale si configura come profondamente legato ad una dimensione di reciprocità. “In principio è la relazione”, scriveva nella prima metà del secolo scorso il grande Martin Buber. Da allora questo pensiero dominante si è imposto nella scena filosofica contemporanea, con conseguenze per la vita sociale e l’orizzonte di senso dell’esistenza. Buber poneva in risalto la dinamica relazionale, specificando che “il fatto fondamentale dell’esistenza umana non è né il singolo come tale, né la totalità come tale. Considerati in sé, essi non sono che potenti astrazioni. Il fatto fondamentale dell’esistenza umana è l’uomo con l’uomo”. Da questa affermazione ne consegue la condanna di ogni forma di violenza e l’obbligo morale di ciascun essere umano di soccorrere l’altro e lenire ogni forma di ferita all’altro inferta. È nell’incontro con l’altro che si invera la identità di ciascun uomo, si diventa realmente umano. Ed ecco che la lezione buberiana sembra fornirci argomentazioni importanti nella prospettiva di un ragionamento sui beni relazionali. In fondo il filosofo Buber parla al cuore di ogni uomo, in ogni tempo e in ogni situazione, invitandolo a pensare e ad agire imboccando il cammino della autentica crescita umana in armonia con gli altri uomini e con il mondo intero. Di qui la necessità di non ricercare l’esasperato individualismo o l’isolitudine, nella suprema convinzione che un uomo privo di legami rimane solo con sé stesso, privato com’è di ogni contatto umano. Difatti, è sempre Buber ad affermarlo, “Quanto più l’uomo, l’umanità, è dominato dall’individualità, tanto più profondamente l’individuo si inabissa nell’irrealtà. In tali tempi la persona, nell’uomo e nell’umanità, conduce un’esistenza sotterranea, nascosta, quasi nulla”. È invece proprio la ricerca del bene relazionale a farci scoprire il senso e l’urgente bisogno della socialità che permette la realizzazione del vero consorzio umano e, dunque, l’essenza della comunità.

Quanto più l’uomo è dominato dall’individualità, tanto più profondamente si inabissa nel buio della dis-umanità che ci fa tanto feroci o ci sprofonda nella voragine dell’inferno. Serve la società con l’altro e dell’altro, una società nuova che faccia riscoprire il valore della prossimità e dell’alterità. All’affermazione del poeta comico Terenzio: “homo sum: nihil humani a me alienum puto” a significare che nulla che è umano mi è estraneo, si aggiunge la constatazione che l’uomo, per essere pienamente tale, ha bisogno della relazione: ritornando all’espressione terenziana, è come dire che non bisogna temere di forzare un po’ la barriera dietro la quale sta colui che ci è estraneo, e farlo diventare il nostro prossimo, ovvero il nostro vicino. 

 Il nostro tempo ci pone dinanzi a due scelte: scegliere l’individualismo o scegliere il collettivismo. La prima ci condanna alla solitudine più profonda, la seconda, liberandoci dalla catena del percepirci come individui, ci sprona ad incontrare l’altro e a ricercare il bene della pace. Per quan­to que­ste due conce­zio­ni di vita siano op­po­ste, Buber ci pro­po­ne la via dia­lo­gi­ca come l’u­ni­ca che possa ren­de­re ac­ces­si­bi­le al­l’uo­mo, so­prat­tut­to al­l’uo­mo di oggi, la com­pren­sio­ne di sé stes­so.

L’uomo per la sua crescita e per raggiungere l’autenticità deve tornare ad essere sé stesso, deve finalmente ritrovare sé stesso, deve fare della sua vita un cammino che porti verso l’uomo, che autenticamente apra alla relazione io-tu, senza intromissione del desiderio di potenza o dell’orgoglio demoniaco. L’attualità della lezione di Buber sta nell’aver trasformato l’accidente dell’incontro in principio: la relazione non è una possibilità tra le possibilità, essa è l’unica scelta possibile. È solo così che possono risolversi le forme di arretratezza civile e le diverse manifestazioni di cultura della violenza che tormentano il nostro tempo.