Media, social network e comunicazione in Italia. Rivoltella: “Troppe fonti di informazione producono disorientamento e non danno garanzie”

"Il Paese è tra i primi al mondo come diffusione di smartphone, le percentuali di consumo internet sono sicuramente salite, ma manca ancora una cultura della Rete solida e diffusa", dice Pier Cesare Rivoltella, professore ordinario di didattica e tecnologie dell’istruzione all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano

“La moltiplicazione delle fonti di informazione non vuol dire necessariamente pluralismo”. Lo sostiene Pier Cesare Rivoltella, professore ordinario di didattica e tecnologie dell’istruzione all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

In Italia il numero di persone che ha accesso a internet ha superato quota 43 milioni (73% del totale), mentre gli iscritti sui social media sono 34 milioni (57%). Come sta cambiando la comunicazione in Italia?Il Paese è tra i primi al mondo come diffusione di smartphone, le percentuali di consumo internet sono sicuramente salite, ma manca ancora una cultura della Rete solida e diffusa, spesso il “saperci fare” viene confuso con la Media Literacy. C’è molto da lavorare.

E la metà circa di italiani che non frequentano i social? Sono esclusi dai processi comunicativi?Il divario digitale ha contorni complessi, non si può ridurre all’asse nord-sud del mondo. Così

abbiamo sacche di divario anche da noi, spesso nelle stesse smart cities.

Penso alla popolazione anziana, o ai migranti.

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

I quotidiani attraversano una crisi che non vede sbocchi, la televisione è ancora il medium con maggiore penetrazione ma gli investimenti pubblicitari sono in calo costante, la radio è l’unica che sembra tenere di fronte all’avanzata di internet. Che panorama mediatico dobbiamo aspettarci?Il sistema dei media sta cambiando in profondità. Il tradizionale assetto dei media main stream non regge più. La scena è fatta da una comunicazione sempre più crossmediale e transmediale. Occorre ripensare in profondità il senso e i linguaggi dei vecchi media.

Il citizen journalism sta mutando (o uccidendo?) l’informazione così come si è strutturata in oltre un secolo di giornalismo?Oggi l’informazione… non informa più. Le notizie arrivano prima. Il problema è che spesso anche il commento si sposta dalla pagina del quotidiano alla rete dei social o alla blogosfera. Anche in questo caso va probabilmente ridefinito il ruolo del giornale dentro il nuovo contesto comunicativo.

In un mondo in cui tutti possono dire la loro, si è davvero più liberi e informati?No, perché

la moltiplicazione delle fonti di informazione non vuol dire necessariamente pluralismo.

Può invece produrre disorientamento, senza sottrarre la produzione di informazione al rischio del controllo, del pensiero unico, del modellamento.

I media possono essere considerati ancora soltanto degli strumenti?Assolutamente no. Oggi i media sono per un verso sinapsi sociali, per l’altro tessuto connettivo che tiene insieme le vite nostre e delle organizzazioni.

I robot di Google studiano già i programmi scolastici dei bambini nei loro processi di apprendimento. Cambierà l’idea che abbiamo di uomo e di macchina?Oggi viviamo nella terza età della mediazione tecnologica, quella in cui la tecnologia media tra tecnologia e tecnologia.

L’intelligenza artificiale sta modificando la relazione tra quello che è umano e quel che non lo è.

L’antropologia e l’etica non possono che essere in prima linea.