Mons. Savino: “un bene confiscato va utilizzato per il bene di tutti”

Il Vescovo di Cassano ha presentato ai giornalisti il corso di formazione per giovani del territorio sul riutilizzo dei beni confiscati organizzato insieme a Libera, all'unical e all'amministrazione comunale cassanese. "Passare dalla cultura degli scartati a quella dell’incontro, della tolleranza, dell’inclusione sociale"

“Sono profondamente convinto che dietro un bene confiscato c’è una comunità ferita e trasfigurata e ad essa va trasferito il bene confiscato”. Lo ha detto oggi monsignor Francesco Savino, vescovo di Cassano all’Jonio, presentando in seminario ai giornalisti l’iniziativa “Promozione cooperativa e riutilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie”, un percorso di formazione destinato a giovani della diocesi da 18 a 35 anni, che il vescovo definisce “una proposta culturale” che auspica “faccia mettere in gioco tutti”. “Un bene confiscato alla mafia va utilizzato per il bene di tutti perché si recupera la comunità quando si recupera il bene comune” – ha detto il vescovo – che ha sottolineato come l’azione criminosa colpisce l’intero territorio “inteso sia in senso geografico ma anche come luogo antropologico, dove abitano uomini e donne di carne”. Per il presule, “la Calabria cambierà quando recupereremo il senso della comunità mentre spesso prevale il senso dell’appartenenza a una lobby, a un potere. Ritengo invece che dobbiamo sentirci parte responsabile attiva di un corpo dove ci sono compiti e funzioni diverse. E una comunità è civile e democratica quando ci si rispetta, quando c’è sinfonia di rapporti tra istituzioni e tra istituzioni e cittadini, quando funziona la sussidiarietà verticale e quella circolare tra diversi soggetti”. Mons. Savino indica alcune sfide “dietro quella del riutilizzo sociale del bene confiscato”: “il passare dalla cultura degli scartati a quella dell’incontro, della tolleranza, dell’inclusione sociale”. L’altro aspetto è quello del lavoro, perché le azioni di riutilizzo dei beni confiscati “aprono delle brecce, delle strade che possono portare alla nascita di nuove realtà anche cooperative e di impresa sociale. Dobbiamo con forza lavorare in tal senso perché non è possibile che i beni rimangano fermi e abbandonati. Ci vuole uno scatto in più”.