Chiesa
Nel tempio valdese un popolo sobrio e sincero
Il luogo di culto si trova nel quartiere di San Salvario dove a pochi passi si ergono anche una sinagoga, una moschea, due chiese cattoliche ed una chiesa ortodossa, segno di un’Italia che parla e prega sempre più al plurale. La comunità conta 1.200 membri e incarna diverse anime: i "valligiani" di antichissima data, i nuovi protestanti e da ultimi gli immigrati riformati e protestanti.
“Si tratta di un momento storico ma il desiderio è di viverlo come un momento di fraternità e di gioia”. Chiude con queste parole la telefonata con il Sir Paolo Ribet, pastore della chiesa valdese di Torino che si appresta a ricevere il prossimo 22 giugno Papa Francesco. Una visita – aggiunge subito – che testimonia “la volontà di mantenere aperta anche questa porta di dialogo e di confronto in un periodo di raffreddamento per l’ecumenismo”. È la prima volta che un Papa varca le soglie di un tempio valdese: gli incontri da Papa Paolo VI in poi, si sono sempre svolti in Vaticano o a Castel Gandolfo e in ambito di incontri ecumenici ampi. Questa volta sarà diverso. Sarà un incontro “a casa”. Ma l’impressione, nel giro di telefonate tra segreterie e amici, è che la comunità valdese è in un certo senso frastornata da tanto clamore: non è abituata alle fanfare, alle ingenti misure di sicurezza. È gente schietta, diretta. Dice quel che pensa. Non è un caso se la sua storia sia radicata a Torre Pellice, nelle valli piemontesi laddove il silenzio favorisce la riflessione e la natura accompagna il viaggio dell’uomo verso Dio. Il programma messo a punto per l’incontro con Papa Bergoglio è lo specchio di questo popolo: è sobrio e semplice. Ci sarà all’inizio un canto fatto da un gruppo di giovani, poi i saluti del pastore Paolo Ribet a nome della Chiesa di Torino e del moderatore della tavola Valdese Eugenio Bernardini a cui seguirà la risposta di Papa Francesco. Dopo uno scambio di doni, si termina con la recita del Padre Nostro e un inno cantato da tutta l’Assemblea. È previsto anche uno spazio di incontro privato di un quarto d’ora in cui il Papa incontrerà un numero limitato di persone. Sono stati i valdesi ad invitare il Papa. Francesco aveva mandato l’estate scorsa un indirizzo di saluto al Sinodo. “Non hanno colpito tanto le parole che erano affettuose e di buon lavoro – ricorda Ribet -. Il significato stava nel fatto che era la prima volta che il Papa inviava direttamente un saluto al Sinodo valdese”. La scelta del luogo e della data dell’incontro cade quasi subito sul viaggio papale a Torino e sul Tempio valdese di corso Vittorio Emanuele II. È il primo tempio che i Valdesi poterono costruire al di fuori delle ‘Valli valdesi’, cinque anni dopo l’emancipazione concessa loro da re Carlo Alberto nel 1848. Si trova nel quartiere di San Salvario dove a pochi passi si ergono anche una sinagoga, una moschea, due chiese cattoliche ed una chiesa ortodossa, segno di un’Italia che parla sempre più al plurale. La comunità valdese di Torino conta 1.200 membri e incarna diverse anime: i “valligiani” di antichissima data, i nuovi protestanti e da ultimi gli immigrati riformati e protestanti che qui trovano ospitalità e accoglienza. La storia dei rapporti tra cattolici e valdesi è solcata di ferite e incomprensioni. Basti pensare che solo fino a qualche decennio fa, entrare in un tempio valdese era per un cattolico un gesto di “eresia”. “Per generazioni intere c’è stata una forte contrapposizione”, ricorda il pastore Ribet, e questa storia ha generato nei valdesi “un forte senso critico nei confronti del cattolicesimo. È inutile nasconderlo. D’altra parte le scelte che vengono fatte sono opposte e io dico che cattolicesimo e protestantesimo sono due forme alternative di essere cristiani. Ma una cosa è proporre due strade alternative, un’altra è guardarsi in cagnesco. Per cui l’invito al Papa è importante ma anche rispondere positivamente all’invito è altrettanto importante”. Ma c’è una ferita che brucia più di tutte: “Siamo rimasti male – confessa il pastore Ribet – quando in recenti documenti vaticani si diceva che le Chiese nate dalla Riforma non sono propriamente Chiese ma comunità ecclesiali perché non hanno il ministero episcopale. Il fatto che il papa Francesco venga qui, è per noi un riconoscimento reciproco dell’essere Chiese e il segno di incontrarci in quanto Chiesa di Gesù Cristo”. Con Papa Francesco “è cambiato lo stile”, osserva Ribet. “Anche l’approccio ai problemi è diventato molto più personale ed empatico. Credo che Papa Francesco con le sue affermazioni abbia aperto porte che sarà difficile in futuro chiudere. Penso per esempio al viaggio velocissimo che ha fatto la scorsa estate alla Chiesa pentecostale di Caserta. Penso che anche con noi valdesi abbia aperto una porta di fraternità. Penso anche quando ha detto la famosa frase, ‘chi sono io per giudicare’ rivolta ai gay. Ci sono e sono molto forti le resistenze perché le porte non si aprano troppo. Ma crediamo che sia cambiato lo stile. Non penso che il Papa stia rivoluzionando la dottrina cattolica. Però lo stile e la forma per certi versi fanno anche il contenuto”. Quale passo nuovo i valdesi si aspettano ora da Roma? “Non è compito mio dirlo – dice il pastore – ma un fatto rivoluzionario sarebbe l’adesione ufficiale della chiesa cattolica al Consiglio ecumenico delle chiese al pari con le altre. Questo sarebbe una rivoluzione”.