Nelle sue viscere di misericordia

El Rahum. Questo il nome che Egli si è voluto dare: El, il Dio, Rahum, degli uteri. I latini lo hanno tradotto Misericordioso. Per Lui è impossibile non accogliere chi a Lui grida. Francesco batte e ribatte in un crescendo il suo richiamo per noi che dobbiamo apprendere a ricorrere "a Lui con cuore sincero". E invita il popolo cristiano a vivere l'Anno Santo della Misericordia

È sempre questione di cuore. Non della melassa propinata per amore e neppure delle nuvolette rosee che si disperdono in un cielo perennemente azzurro e terso. Il cuore, per la Parola che l’Altissimo ci ha rivelata, è il centro decisionale della persona, il luogo della volontà, quella sorta di sacrario dove nessuno può entrare in veste di giudice e che si apre soltanto agli occhi stessi del Creatore. Cuore, lev in ebraico, percorre e racchiude la storia di Israele e chiede costantemente di essere rivolto verso Dio, in ascolto e purificato. Non sarebbe però possibile per il combattimento dei nostri istinti che si affrontano proprio nel cuore, se non venissimo soccorsi dall’unico che può trarre dalla palude chi a Lui si affida: El Rahum. Questo il nome che Egli si è voluto dare: El, il Dio, Rahum, degli uteri. I latini lo hanno tradotto Misericordioso. Per Lui è impossibile non accogliere nelle sue viscere di misericordia chi a Lui grida. Francesco batte e ribatte in un crescendo il suo richiamo per noi che dobbiamo apprendere a ricorrere “a Lui con cuore sincero”. Trasparente intende dire, che non si mimetizza o si maschera ma si palesa così com’è, proprio per un barlume intuitivo che rischiara anche la tenebra più oscura, accostandosi al sacramento della Riconciliazione in cui si fa “esperienza del suo amore”. Si spalanca la strada alla “trasformazione del cuore”, possibile solo se si è contagiati, non convinti. Deve trapassare, attraverso la mediazione del fratello sacerdote, una sorta di getto che avvolge e immerge proprio in quell’utero materno che è El Rahum. La chiave del “come” è una donna che diventa un’icona da incarnare, così nella narrazione di Luca; non ha detto verbo, si è affidata solo a dei gesti e all’umiliazione delle lacrime che scendono: “Nel silenzio, gli ha aperto il suo cuore; nel dolore, gli ha mostrato il pentimento per i suoi peccati; con il suo pianto, ha fatto appello alla bontà divina per ricevere il perdono”. Gesù la lascia fare e sa bene dove condurre gli astanti, più o meno sgomenti, più o meno comprensivi, comunque attoniti si direbbe. La donna è giunta però a questo pentimento solo perché attratta, magnetizzata da Gesù che irraggiava un cuore trasparente al Padre, un cuore accogliente che mai l’avrebbe allontanata o peggio disprezzata. La corrente d’amore ha potuto scoccare in un dono reciproco, diverso ma simile nella sua spontaneità: il puro amore di Gesù per coloro che viene a salvare, l’amore mal gestito dalla donna, che però si riconosce per quella che è e si affida, si abbandona. Ottiene allora quanto umanamente è impossibile ed è segno di un dono grande, di una presenza salvifica: “Grazie a Gesù, i suoi molti peccati Dio se li butta alle spalle, non li ricorda più (cfr Is 43,25)”. Il nostro cuore, quando è lasciato a se stesso, rimugina, traballa e scrive il romanzo dei nevrotici, che ricordano solo il male ricevuto e negano ogni gesto di bene di cui sono stati oggetto, nell’agguato della memoria che deve apprendere ad essere come quella di El Rahum: una volta riconosciuto il peccato, il dono incommensurabile è la memoria resa nuova, che tocca con mano quanto la donna ha sperimentato. “Per lei non ci sarà nessun giudizio se non quello che viene da Dio, e questo è il giudizio della misericordia. Il protagonista di questo incontro è certamente l’amore che va oltre la giustizia”. Noi oscilliamo fra il desiderio insorgente di comportarci come la donna e il desiderio, ben presto messo a tacere, che fa suo un altro registro: “Simone il fariseo non riesce a trovare la strada dell’amore”. Il blocco non è far risalire al timore dei propri peccati, alla bassezza in cui è caduto il proprio cuore, quanto alla difesa di chi commisura con una giustizia che sbarra il flusso al contagio e provoca una sorta di paralisi del sentire. Simone ha perso di vista l’essenziale: “Si è fermato alla superficie, non è stato capace di guardare al cuore”. Pure noi ci incapsuliamo e non siamo più capaci di fare un conto che, di suo, già si impone: “Dinanzi alla parabola di Gesù e alla domanda su quale servo abbia amato di più, il fariseo risponde correttamente: ‘Colui al quale ha condonato di più’. E Gesù non manca di farlo osservare: ‘Hai giudicato bene’”. Noi computiamo le presenze, saggiamo le persone alla luce del nostro cuore fangoso mentre il calore dell’amore vorrebbe prorompere e plasmarci in “testimoni di misericordia”, come la Chiesa “la casa che tutti accoglie e nessuno rifiuta” che ci guida a Colui che è El Rahum, il Misericordioso.