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“Non giudicare mai”. Il segreto dei carcerati di Opera
Domenica 17 gennaio durante il Giubileo dei migranti a San Pietro sono state consacrate delle ostie prodotte nel carcere milanese di Opera, il più grande in Italia, da tre detenuti che hanno commesso omicidi. Il racconto di uno dei cappellani, don Antonio Loi, sui percorsi di consapevolezza tra i detenuti e gli irriducibili condannati al "carcere duro".
Anche nei criminali più incalliti possono emergere “piccole crepe che sgretolano la crosta sul cuore e fanno iniziare a ragionare”. Ne sa qualcosa don Antonio Loi, uno dei due cappellani del carcere di Opera, a Milano, la più grande casa di reclusione tra le 225 presenti in Italia, con circa 1200/1300 detenuti di cui una ottantina nel cosiddetto “carcere duro” determinato dall’articolo 41 bis. Tra i reclusi più famosi: Salvatore Riina, Francesco Schiavone, Giuseppe Setola, Domenico Cutrì, Renato Vallanzasca. Milano è la diocesi con più carceri: 5 istituti per adulti e uno per minori, pari a circa 4/5.000 detenuti. La Chiesa è presente, oltre che per la celebrazione dei sacramenti, per accompagnare le persone nei percorsi di consapevolezza e redenzione personale. Percorsi tanto più significativi nell’Anno della misericordia voluto da Papa Francesco, che tanto caro ha il mondo del carcere. Le sue parole e prese di posizione, anche su temi dibattuti come la richiesta di gesti di clemenza e l’abolizione dell’ergastolo, hanno avuto un grande impatto sui detenuti. Una iniziativa simbolica è stata, domenica 17 gennaio durante il Giubileo dei migranti a San Pietro, la consacrazione delle ostie prodotte nel carcere di Opera da tre detenuti che hanno commesso omicidi. Il laboratorio di produzione delle ostie è stato ideato dalla “Fondazione Casa dello Spirito e delle Arti onlus”, con il sostegno dei sacerdoti del carcere.
“Non giudicare mai”. “E’ stata una iniziativa molto significativa – commenta don Loi -, perché realizzata da persone con le mani sporche di sangue. Fa parte di un percorso di riavvicinamento della persona alla coscienza di sé”. Cappellano a Opera da 13 anni, don Loi non è nuovo agli ambienti del carcere, nel senso che li ha frequentati in un’altra veste: “Trent’anni fa ho fatto il servizio militare come agente di custodia”. Oggi si dice “grato alla diocesi per avermi scelto. Avrei fatto più fatica a prestare servizio in un ospedale”. Insieme all’altro cappellano don Francesco Palumbo, ad una religiosa e ai volontari, la sua presenza accanto ai detenuti è fatta soprattutto di ascolto, pazienza e fiducia: “Non giudico mai. Certo di costruire dei rapporti amichevoli e sposto l’attenzione delle persone sul futuro, sulla vita che intendono ricostruire. Tutti abbiamo delle cicatrici, ma guardare solo al passato non serve”.
Storie positive e difficoltà. Ecco perché l’accompagnamento verso la “conversione” è un percorso lento e paziente. Tante sono le storie positive che può raccontare (senza rivelare i nomi), “dovute più all’effetto Papa Francesco che al Giubileo”, ammette. “C’è gente che ora tiene in tasca il Vangelo da quando lo ha chiesto il Papa – ricorda -. Altri mi dicono di sentirsi perdonati, altri ancora sentono il bisogno di fare del bene, di pregare”. Piccoli successi “da pilotare”. Le confessioni, ad esempio, fanno parte di un percorso “che non va mai forzato”, anche se, da vicario parrocchiale di una parrocchia del milanese, constata che “c’è più gente che frequenta i sacramenti in carcere che fuori”. “Quando qualcuno mi chiede di confessarsi – dice don Loi – ricordo che la richiesta viene da Dio”. Momenti che vengono vissuti dal sacerdote come un grande dono. “Chi ha ucciso sente spesso il peso di non essere perdonato – spiega -. Un giorno è venuto da me uno che ha commesso ‘tonnellate’ di omicidi. Gli ho detto: ‘Gesù è morto anche per te’”. Non tutto però è rose e fiori. Ci sono anche gli irriducibili della criminalità organizzata. “Al 41 bis non si smuove nulla perché sono tutti legati, nessuno parla”. O i dietrofront: “Quando Papa Francesco ha dato la scomunica ai mafiosi in Calabria, da 80 persone che facevano la comunione sono diventate 25”. E i dolori grandi: “L’unica cosa che mi porto dietro come un fallimento e un peso enorme sono i suicidi”.
Le iniziative per il Giubileo. Nella casa di reclusione di Opera sono possibili attività ricreative, culturali e sportive, tra cui quelle pastorali. Il Giubileo della Misericordia è iniziato davanti ad un maxischermo per seguire l’apertura della Porta Santa a San Pietro, affiancata dall’apertura della Porta Santa nella cappella del carcere. Il cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano, ha invitato sei detenuti a pranzo a casa sua. Per la Quaresima distribuiranno a tutti i detenuti il Tao, la croce di San Francesco, per simboleggiare la Porta Santa in ogni cella e inviteranno sacerdoti esterni per le confessioni.