Oscar Romero, il primo dei nuovi martiri

Monsignor Vincenzo Paglia, postulatore della causa di beatificazione: "Dovevamo aspettare il primo Papa latinoamericano per la sua beatificazione". Perché tanti indugi, blocchi e ritardi nella causa di beatificazione? La risposta: "Ha richiesto del tempo per salire agli onori degli altari, perché chi non era d’accordo e aveva pregiudizi robusti doveva essere aiutato a capire che aveva torto"

“Non è tanto il giorno di guardare al passato, ma soprattutto il giorno di cogliere una profezia: dovevamo aspettare il primo papa latinoamericano per la beatificazione di Romero”. Con queste parole monsignor Vincenzo Paglia, postulatore della causa di beatificazione, ha riassunto ai giornalisti la parabola di questi 35 anni che ci separano dalla morte di Oscar Arnulfo Romero, l’arcivescovo di san Salvador assassinato sull’altare dagli squadroni della morte il 24 marzo del 1980, che presto – entro l’anno, nella capitale salvadoregna – diventerà beato in quanto martire ucciso “in odio alla fede”.Tra il martirio di Romero e il papato di Bergoglio, ha detto mons. Paglia, esiste una “similitudine” che può essere riassunta nella frase che fin dall’inizio Francesco ha scelto come programmatica del suo pontificato. “Il mondo è molto cambiato da quel lontano 1980, ma quel pastore di un piccolo paese dell’America Centrale parla più forte”, le parole del postulatore, secondo il quale “non è senza significato che la sua beatificazione avvenga proprio mentre sulla cattedra di Pietro vi è, per la prima volta nella sua storia, un Papa latinoamericano che vuole una Chiesa povera per i poveri’”.Romero diventa così, per volere di Bergoglio, “il primo della lunga schiera dei nuovi martiri contemporanei”, e la sua beatificazione non è l’unica a provenire da quell’angolo di mondo che per primo ha recepito il Concilio Vaticano II attualizzandone le istanze di fondo. Già da tre mesi, ha annunciato infatti mons. Paglia, l’arcidiocesi di El Salvador ha dato l’avvio alla causa di beatificazione per padre Rutilio Grande – gesuita come Bergoglio – il “braccio destro” di Romero che venne ucciso tre anni prima di lui, il 12 marzo del 1977, e del quale l’amico scelse di prendere il posto, ben consapevole del destino a cui sarebbe andato incontroLa “gratitudine” di monsignor Paglia, oltre che a Papa Francesco, è andata anche ai suoi predecessori: a Benedetto XVI, che ha seguito la causa fin dall’inizio e che il 20 dicembre 2012 – a poco più di un mese dalla sua rinuncia – ne ha deciso lo sblocco perché proseguisse il suo itinerario ordinario, e a Giovanni Paolo II, che volle ricordare Romero nella celebrazione dei Nuovi Martiri durante il Giubileo del 2000, inserendone il nome, assente nel testo, nella preghiera finale. Anche Paolo VI vedeva Romero “come suo ispiratore e per lui fu un difensore”. Perché, allora, tanti indugi, blocchi e ritardi nella causa di beatificazione? A questa domanda, tornata a più riprese e in diverse forme nel corso della conferenza stampa, mons. Paglia ha risposto spiegando che “la figura di Romero ha richiesto del tempo per salire agli onori degli altari, perché chi non era d’accordo e aveva pregiudizi robusti doveva essere aiutato a capire che aveva torto. C’è stato chi era molto, decisamente contro: spostare un sassolino è semplice, spostare una roccia è più difficile, ma alla fine la verità ha avuto la sua vittoria”.Certo, con Giovanni Paolo II “ci sono state incomprensioni nei primi incontri, anche perché le informazioni che gli arrivavano erano solo di un certo tipo. Ma ad un certo punto capì: nel suo primo viaggio in Salvador, cambiò programma e volle come prima cosa andare nella cattedrale. A me personalmente, più volte, ha detto: Romero è nella Chiesa”. Quanto a Benedetto XVI, mons. Paglia ha reso noto di avere avuto in lui “un interlocutore straordinario, già da cardinale. Nel suo primo viaggio in Brasile, nel 2007, mi aveva detto: per me Romero è beato”. “Ma nella Chiesa esistono varie istanze che devono fare il loro cammino”, ha chiosato mons. Paglia. Fino a Papa Francesco, che ha elogiato il “martirio materno” di Romero: “Dare la vita – spiegò quest’ultimo ai funerali di un suo prete assassinato – non significa solo essere uccisi; dare la vita, è dare la vita poco a poco, nel silenzio della vita quotidiana, come la dà la madre che senza timore, con la semplicità dà alla luce, allatta, fa crescere e accudisce con affetto suo figlio”.