Chiesa
Papa Francesco a Quito: “la nostra fede è rivoluzionaria”
Santa Messa nel Parco del Bicentenario. L'invito alla missione e ad avere gli stessi sentimenti di Gesù, il quale non è un'idea, ma un fatto concreto.
“La nostra fede è rivoluzionaria”, “abbiamo un tesoro da annunciare”. Una omelia ricca e carica di significati e spunti di riflessione, quella che papa Francesco ha pronunciato a Quito nella messa celebrata nel Parco del Bicentenario. Uno dei messaggi più lunghi, probabilmente, come lunghezza, dell’intero pontificato di Francesco. Sulla scorta dell’Evangelii Gaudium, ma anche delle urgenze che il Papa ritiene impellenti, sia da un punto di vista strettamente religioso e di fede hche da quello sociale. Che poi i due aspetti si fondono, quando il Papa ricorda “abbiamo un Padre, siamo fratelli”, e che tra fratelli c’è un’attenzione massima. Per “attrarre i lontani anzitutto”. La ricetta, allora, è “non fare proselitismo, dittature, settarismi”. Non praticare la “modanità” – termine di moda nel linguaggio bergogliano, perché in tal caso “è impensabile che risplenda l’unità”. L’invito, per papa Francesco, è di “darsi2, che significa “lasciar agire in noi tutta la potenza dell’amore che è lo Spirito di Dio e aprirsi alla sua forza creatrice”. Ed è una forza che “crea unità, amore”, e permette di realizzare quello stile missionario che papa Francesco additata come necessario nella sua esortazione programmatica di pontificato. Una missionarietà che, per il Papa, deve essere inclusiva, non solo verso l’esterno e all’esterno, ma nella Chiesa, secondo l’esempio di Cristo. “La proposta di Gesù è concreta,non è fatta di idee:andate e fate la stessa cosa del buon samaritano”, dice il Papa dinanzi a oltre un milione di persone, che all’inizio dell’Eucarestia lo avevno omaggiato di un colorato (giallo e bianco) omaggio floreale. Di giallo e di bianco sono anche i coristi che hanno accompagnato l’Eucarestia che, a dispetto dei tanti viaggi di questi giorni, è apparso fresco e decisamente in forma. Una Messa celebrata a 1.850 metri di altezza, forse perché, nella fraternità e nella comunione più volte richiamata, possiamo toccare il cielo, “fare parte di un noi che arriva fino al noi divino”.