Chiesa
Papa Francesco in Cile: abbraccia i mapuche e piange con le vittime degli abusi e della dittatura
Il pianto insieme alle vittime degli abusi, l'abbraccio ai mapuche, l'incontro con le vittime della repressione degli Anni Settanta. Sono alcune istantanee della "tre giorni" del Papa in Cile, prima tappa del suo 22° viaggio apostolico. Ora la seconda metà in Perù.
Ascolto. È la parola chiave del viaggio del Papa in Cile, prima tappa del suo 22° viaggio apostolico internazionale, che lo ha visto tornare per la sesta volta, dall’inizio del pontificato, in America Latina. Ascolto, innanzitutto, del dolore delle vittime degli abusi, nominate già nel suo primo discorso alla Moneda e poi incontrate personalmente in privato per piangere con loro. Ascolto delle donne, quelle del carcere femminile di Santiago, fazzoletti bianchi e tanta commozione per salutare un Papa che entra per la prima volta in un penitenziario di sole donne e parla loro di riscatto. Ascolto dei popoli autoctoni, anch’essi menzionati già nella parte politica del discorso alle autorità e poi abbracciati nella messa all’aerodromo di Maquehue e durate il pranzo a Temuco con i mapuche. Ascolto dei giovani, ai quali nel Santuario di Maipù ha consegnato la “password” di Alberto Hurtado, il santo gesuita che con la sua “camioneta” verde girava per raccogliere gli emarginati da ospitare nel suo Hogar de Christo. La prima giornata cilena è finita per il Papa nel suo santuario, a pregare nella sua tomba, così come era cominciata con il “fuori programma” della sosta presso un’altra tomba: quella del “vescovo dei poveri”, mons. Enrique Alvear Urrutia. Ascolto, infine, di due vittime della dittatura di Pinochet durante la repressione degli anni Settanta, che hanno consegnato una lettera al Papa prima del congedo dal Cile.
Dolore e vergogna.
“Non posso fare a meno di esprimere il dolore e la vergogna che sento davanti al danno irreparabile causato a bambini da parte di ministri della Chiesa”. Il Papa entra, il 16 gennaio, nel palazzo presidenziale de La Moneda, per l’incontro con le autorità, e fa subito riferimento al tema degli abusi, su cui torna anche nel discorso al clero dalla cattedrale di Santiago: “Conosco bene il dolore che hanno significato i casi di abusi contro i minori”, dice Francesco. “So – aggiunge – che a volte avete subito insulti sulla metropolitana o camminando per la strada; che andare ‘vestiti da prete’ in molte zone si sta ‘pagando caro”. Non ha dubbi, il Papa, la soluzione è una sola: “Chiedere a Dio che ci dia la lucidità di chiamare la realtà col suo nome, il coraggio di chiedere perdono”. Poche ore prima, l’incontro strettamente privato, subito dopo il pranzo in nunziatura, con alcune vittime delle violenze.
Prossimità. L’invito nella Messa, nel Parque O’Higgins di Santiago davanti a 400mila persone, è a “seminare la pace a forza di prossimità, a forza di vicinanza”, quello ai vescovi è ad evitare il clericalismo. Intensa e commovente la visita al carcere femminile di Santiago, in cui il Papa esorta la società cilena a garantire il reinserimento e le detenute a pretenderlo. Nel discorso al clero – come in tutta la trasferta, in cui Francesco cita anche il poeta cileno Pablo Neruda – ritorna il riferimento a Hurtado. Per lui, come per il santo gesuita, il problema non sta nel dar da mangiare al povero, vestire il denudato, assistere l’infermo, ma “nel considerare che il povero, il denudato, il malato, il carcerato, i senzatetto hanno la dignità di sedersi alle nostre tavole di sentirsi a casa tra noi, di sentirsi in famiglia”.
Unità.
“Abbiamo bisogno gli uni degli altri nelle nostre differenze affinché questa terra possa essere bella”. La Messa nell’aerodromo di Maquehue, che ha inaugurato la seconda giornata del Papa in Cile, comincia con il saluto ai Mapuche nella loro lingua e culmina nell’invito – pronunciato il 17 gennaio di fronte a 150mila persone – ad essere “artigiani di unità”. Nella Casa Madre de la Santa Cruz di Temuco, Francesco pranza con 11 abitanti dell’Araucanìa, di cui 8 mapuche. Ai giovani, incontrati nel pomeriggio nel Santuario di Maipù a Santiago, il Papa affidato la “password” di Hurtado, da memorizzare sul telefonino per non perdere mai la “connessione” nella vita, e chiede di far sentire la propria voce al Sinodo. Tra le molte aggiunte a braccio con cui infarcisce il suo discorso, l’invito ad essere “patrioti, non patriottici”. Infine la visita all’Università Cattolica, durante la quale Francesco chiede ancora una volta di prestare particolare attenzione alle comunità aborigene, cercando spazi sempre nuovi di dialogo più che di scontro.
“Questa terra è terra di sogni, ma facciamo in modo che continui a essere anche terra di ospitalità”. È il sogno del Papa, affidato ai cileni del Nord nell’ultima tappa del suo viaggio: la Messa al Campus Lobito, una festa di danze, luci e colori sulla spiaggia con le Ande come sfondo. “Non c’è gioia cristiana quando si fa sentire agli altri che sono di troppo o che tra di noi non c’è posto per loro”, ammonisce Francesco esortando ad essere attenti, nelle nostre piazze e nei nostri villaggi – come ha fatto Maria a Cana – a coloro che hanno una vita “annacquata”: a tutte le situazioni di ingiustizia e di sfruttamento vecchie e nuove, alla precarizzazione del lavoro “che distrugge vite e famiglie”, a quelli “che approfittano dell’irregolarità di molti migranti, perché non conoscono la lingua o non hanno i documenti in regola”,
alla mancanza di casa, terra e lavoro di tante famiglie. Gesù i miracoli li fa con noi, con quel poco che abbiamo. Impariamo dai migranti, dalle “anfore” piene di sapienza e di storia che portano. E autore non di un miracolo, ma certo di un fuori programma a ben 36mila piedi di altitudine, è stato proprio Francesco, che sul volo da Santiago a Itique ha unito in matrimonio due assistenti di volo, Paula Podestà Ruiz, 39 anni, e Carlos Cuffando Elorriaga, 41. I due, già uniti civilmente, avevano in programma di sposarsi in Chiesa, ma prima a causa del terremoto del 2010, poi per altri impedimenti, erano stati costretti a rimandare le nozze. Di certo non avrebbero mai immaginato un celebrante così d’eccezione.