Papa Francesco traccia il cammino: “Una Chiesa che crea dialogo per un umanesimo con il volto di Cristo”

Discorso di apertura di papa Francesco. Al centro dell'umanesimo il volto di Gesù Cristo, i suoi sentimenti di umiltà e mansuetudine. Ai Vescovi "siate patori, non di più". La tentazione della chiesa pelagiana e sicura nelle sue strutture e dello gnosticismo. La preferenza per una Chiesa inquieta, vicina gli abbandonati, ai poveri.

Papa Francesco ascolta le testimonianze accorte dei giovani, poi prende la Parola. Contempla la cupola del brunelleschi, la bellezza dell’Ecce homo, poi inzia a parlare di nuovo umanesimo, di “Gesù, scoprendo in lui i tratti del volto autentico dell’uomo”. “Mi piace una Chiesa italiana inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti. Desidero una Chiesa lieta col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza. Sognate anche voi questa Chiesa, credete in essa, innovate con libertà” – dirà il Papa, sempre nel nome di quella centralità che proviene dal Dio “svuotato” come “tanti fratelli sviotati e umiliati”. “Possiamo parlare di umanesimo solamente a partire dalla centralità di Gesù, scoprendo in Lui i tratti del volto autentico dell’uomo” – il pensiero completo del Papa. “È la contemplazione del volto di Gesù morto e risorto che ricompone la nostra umanità, anche di quella frammentata per le fatiche della vita, o segnata dal peccato. Non dobbiamo addomesticare la potenza del volto di Gesù. Il volto è l’immagine della sua trascendenza. È il misericordiae vultus. Lasciamoci guardare da Lui. Gesù è il nostro umanesimo”. Il Papa sottolinea subito lo spirito del suo discorso. Non vuole “disegnare in astratto un «nuovo umanesimo», una certa idea dell’uomo, ma presentare con semplicità alcuni tratti dell’umanesimo cristiano che è quello dei «sentimenti di Cristo Gesù» (Fil 2,5)”. Eccoli, allora, i tre sentimentirichiamati dal Papa: l’umiltà, il disinteresse e la beatitudine. L’umiltà della grotta di Betlemme, il “disonore della croce di Cristo”. Il disinteresse, allora, “la felicità di chi cita accanto”, perché “l’umanità del cristiano è sempre in uscita. Non è narcisistica, autoreferenziale. Quando il nostro cuore è ricco ed è tanto soddisfatto di sé stesso, allora non ha più posto per Dio”. “Evitiamo, per favore, di «rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 49)”. Il nostro dovere, per Frncesco, è “essere uomini secondo il Vangelo di Gesù”. Una “fede rivoluzionaria”, in cui “qualsiasi vita si decide sulla capacità di donarsi” . A proposito della betitudine, Francesco ha sottolineto che “il cristiano è un beato, ha in sé la gioia del Vangelo. Nelle beatitudini il Signore ci indica il cammino. Percorrendolo noi esseri umani possiamo arrivare alla felicità più autenticamente umana e divina”. Nella gnte comune, anche pover, il molto dell beatitudine: “è quella di chi conosce la ricchezza della solidarietà, del condividere anche il poco che si possiede; la ricchezza del sacrificio quotidiano di un lavoro, a volte duro e mal pagato, ma svolto per amore verso le persone care; e anche quella delle proprie miserie, che tuttavia, vissute con fiducia nella provvidenza e nella misericordia di Dio Padre, alimentano una grandezza umile”.

“Umiltà, disinteresse, beatitudine – sintetizza ancora il Papa: questi i tre tratti che voglio oggi presentare alla vostra meditazione sull’umanesimo cristiano che nasce dall’umanità del Figlio di Dio. E questi tratti dicono qualcosa anche alla Chiesa italiana che oggi si riunisce per camminare insieme”. Secondo Francesco, “se la Chiesa non assume i sentimenti di Gesù, si disorienta, perde il senso. Se li assume, invece, sa essere all’altezza della sua missione. I sentimenti di Gesù ci dicono che una Chiesa che pensa a sé stessa e ai propri interessi sarebbe triste. Le beatitudini, infine, sono lo specchio in cui guardarci, quello che ci permette di sapere se stiamo camminando sul sentiero giusto: è uno specchio che non mente”.Nel cammino, però, i rischi sono due. Le “tentazioni”, li definisce Francesco. “La prima di esse è quella pelagiana. Essa spinge la Chiesa a non essere umile, disinteressata e beata. E lo fa con l’apparenza di un bene”. Il pelagianesimo, spieg il Papa dopo aver richiamto lEvangelii Gaudium, “ci porta ad avere fiducia nelle strutture, nelle organizzazioni, nelle pianificazioni perfette perché astratte. Spesso ci porta pure ad assumere uno stile di controllo, di durezza, di normatività. La norma dà al pelagiano la sicurezza di sentirsi superiore, di avere un orientamento preciso. In questo trova la sua forza, non nella leggerezza del soffio dello Spirito”. Ma “davanti ai mali o ai problemi della Chiesa è inutile cercare soluzioni in conservatorismi e fondamentalismi, nella restaurazione di condotte e forme superate che neppure culturalmente hanno capacità di essere significative. La dottrina cristiana non è un sistema chiuso incapace di generare domande, dubbi, interrogativi, ma è viva, sa inquietare, animare. Ha volto non rigido, ha corpo che si muove e si sviluppa, ha carne tenera: si chiama Gesù Cristo.Da qui l’esortazione: “la Chiesa italiana si lasci portare dal suo soffio potente e per questo, a volte, inquietante”. “Sia una Chiesa libera e aperta alle sfide del presente, mai in difensiva per timore di perdere qualcosa”. Per Francesco “una seconda tentazione da sconfiggere è quella dello gnosticismo. Essa porta a confidare nel ragionamento logico e chiaro, il quale però perde la tenerezza della carne del fratello”. Per il Papa “la differenza fra la trascendenza cristiana e qualunque forma di spiritualismo gnostico sta nel mistero dell’incarnazione. Non mettere in pratica, non condurre la Parola alla realtà, significa costruire sulla sabbia, rimanere nella pura idea e degenerare in intimismi che non danno frutto, che rendono sterile il suo dinamismo”.”Vicinanza alla gente e preghiera sono la chiave per vivere un umanesimo cristiano popolare, umile, generoso, lieto. Se perdiamo questo contatto con il popolo fedele di Dio perdiamo in umanità e non andiamo da nessuna parte”.Un messaggio i Vescovi, soprattutto con riferimento all’annuncio: siano pastori. “Sarà la gente, il vostro gregge, a sostenervi. Che niente e nessuno vi tolga la gioia di essere sostenuti dal vostro popolo. Come pastori siate non predicatori di complesse dottrine, ma annunciatori di Cristo, morto e risorto per noi. Puntate all’essenziale, al kerygma. Non c’è nulla di più solido, profondo e sicuro di questo annuncio”. La chiesa che guarda al reale, e deve puntare all’inclusione sociale dei poveri, che hanno un posto privilegiato nel popolo di Dio, e alla capacità di incontro e di dialogo per favorire l’amicizia sociale nel vostro Paese, cercando il bene comune.”Ecco, dobbiamo immaginare che i nostri poveri abbiano una medaglia spezzata. Noi abbiamo l’altra metà. La Chiesa madre ha l’altra metà della medaglia di tutti e riconosce tutti i suoi figli abbandonati, oppressi, affaticati. Il Signore ha versato il suo sangue non per alcuni, né per pochi né per molti, ma per tutti”.Ai Vescovi il Papa ha invitato a realizzare “capacità di dialogo e di incontro”, “cercare il bene comune per tutti”. Secondp il vincolodella carità. “Dobbiamo sempre ricordare che non esiste umanesimo autentico che non contempli l’amore come vincolo tra gli esseri umani, sia esso di natura interpersonale, intima, sociale, politica o intellettuale. Su questo si fonda la necessità del dialogo e dell’incontro per costruire insieme con gli altri la società civile”. “La Chiesa sia fermento di dialogo, di incontro, di unità” – spera Francesco. Una Chiesa protagonista della società civile, nell’oggi. “Sebbene non tocchi a me dire come realizzare oggi questo sogno, permettetemi solo di lasciarvi un’indicazione per i prossimi anni: in ogni comunità, in ogni parrocchia e istituzione, in ogni Diocesi e circoscrizione, cercate di avviare, in modo sinodale, un approfondimento della Evangelii gaudium, per trarre da essa criteri pratici e per attuare le sue disposizioni. Sono sicuro della vostra capacità di mettervi in movimento creativo per concretizzare questo studio. Ne sono sicuro perché siete una Chiesa adulta, antichissima nella fede, solida nelle radici e ampia nei frutti. Perciò siate creativi nell’esprimere quel genio che i vostri grandi, da Dante a Michelangelo, hanno espresso in maniera ineguagliabile”.