Papa in Egitto: “Si levi il sole di una rinnovata fraternità in nome di Dio”

Si è conclusa con una preghiera ecumenica al Muro dei martiri nella chiesa copta-ortodossa di san Pietro la prima giornata di papa Francesco al Cairo, pellegrino di pace in terra egiziana. Ad accoglierlo il "fratello" grande imam di al-Azhar, Shaykh Ahmad Al-Tayeb, e il presidente al-Sisi. Domani l'abbraccio con la piccola comunità cattolica del Paese.

Il nome di Dio è Santo, è pace, è salam. Perciò “solo la pace è santa e nessuna violenza può essere perpetrata in nome di Dio, perché profanerebbe il suo Nome”. Sono le prime parole pronunciate da papa Francesco, pellegrino in terra egiziana. Lo fa rivolgendo il suo primo discorso all’università di al-Azhar, punto di riferimento per tutto il mondo musulmano sunnita.

(L’Osservatore Romano (www.photo.va) / SIR)

È il primo atto di questo breve ma significativo viaggio di papa Francesco in terra di Egitto. Accanto a lui, c’è il Grande Imam, Shaykh Ahmad Al-Tayeb, che lo ha fortemente voluto al Cairo. E ad ascoltarlo una platea di leader cristiani e musulmani, riuniti per una conferenza internazionale per la pace. Tutto si svolge in un clima di grande stima e amicizia.Il Papa chiama Al-Tayeb “fratello”, la platea che lo ascolta lo ferma più volte con applausi e qualche imprevedibile “bravo”.

Scenario impensabile fino a qualche anno fa, se si pensa che le relazioni tra il Vaticano e al-Azhar erano congelate dal 2006 e riannodate con un paziente dialogo fondato sull’amicizia e la stima reciproca.

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D’altronde è il tempo attuale a chiedere gesti coraggiosi di pace. Nel prendere la parola, il Grande Imam Al-Tayeb ricorda le tragedie di guerra che sono disseminate sulla terra e obbligano migliaia di uomini e donne a fuggire migranti dalle loro case e a rischiarare la vita lungo le vie del deserto e del mare. Stiamo vivendo – dice – “una delle più grandi tragedie della storia umana”. E le grandi tragedie umane chiedono oggi soprattutto ai leader delle fedi religiose di uscire dall’isolamento per unirsi a tutte le forze di bene esistenti sulla terra.

“Si levi il sole di una rinnovata fraternità in nome di Dio e sorga da questa terra, baciata dal sole, l’alba di una civiltà della pace e dell’incontro”.

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Il Papa rivolge – come era fortemente atteso da molte parti – un discorso articolato e complesso. Diretto e senza giri di parole, ricorda il comandamento “non uccidere” al centro delle dieci parole consegnate dal Dio di Mosè proprio sul Monte Sinai. “In quanto responsabili religiosi siamo dunque chiamati a smascherare la violenza che si traveste di presunta sacralità”. “Ripetiamo un no forte e chiaro ad ogni forma di violenza, vendetta e odio commessi in nome della religione o in nome di Dio. Insieme affermiamo l’incompatibilità tra violenza e fede, tra credere e odiare. Insieme dichiariamo la sacralità di ogni vita umana contro qualsiasi forma di violenza fisica, sociale, educativa o psicologica”.

“Oggi c’è bisogno di costruttori di pace e non di armi, c’è bisogno di costruttori di pace, non di provocatori di conflitti; di pompieri e non di incendiari, di predicatori di riconciliazione e non di banditori di distruzione”.

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“L’umanità non deve più vivere stagioni di violenza”, dice il presidente egiziano Al-Sisi a Papa Francesco, nell’incontro con le Autorità del Paese. Mai come in questo periodo l’Egitto sta vivendo sulla propria pelle l’ombra oscura del terrorismo. È una vera e propria piaga che sta gettando il Paese nella povertà e nella paura. E l’incontro con le autorità politiche del Paese è per papa Francesco occasione per pronunciare un accorato appello per la pace in tutta la regione del Medio Oriente, in particolare per Palestina e Israele, per la Siria, per la Libia, per lo Yemen, per l’Iraq, per il Sud Sudan!

A pagare il tributo più pesante e doloroso della minaccia terroristica è la comunità copta ortodossa dell’Egitto. Una comunità che con il sangue dei martiri sta dando testimonianza di un cristianesimo capace di rispondere con l’amore all’odio, con il perdono alla tentazione di vendetta.

Cuore e anima di questa comunità è papa Tawadros II. Il “fratello” copto-ortodosso di papa Francesco.

“La nostra patria ha ancora le ferite aperte e ed è pervasa dalla tristezza”, dice. L’incontro avviene nel Patriarcato coto-ortodosso del Cairo. “Rinforzati dalla vostra testimonianza – dice con voce ferma e commossa papa Francesco -, adoperiamoci per opporci alla violenza predicando e seminando il bene, facendo crescere la concordia e mantenendo l’unità, pregando perché tanti sacrifici aprano la via a un avvenire di comunione piena tra noi e di pace per tutti”.

I canti sacri dell’Oriente accompagnano in processione Francesco e Tawadros davanti al muro dei martiri nella chiesa di san Pietro, nel quartiere di al-Abassiya, dove lo scorso 11 dicembre persero la vita 29 persone in seguito a un attacco terroristico. Quel giorno i corpi dei feriti e dei morti furono trasportati dall’interno della chiesa a ridosso di un muro fuori la chiesa che rimase intriso del loro sangue. C’è anche il patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo, e la sua presenza è segno che nell’ecumenismo del sangue l’unità tra le Chiese è già raggiunta. E insieme risuona forte un messaggio di pace per tutti i popoli della terra.