Cultura
Pasolini, la Calabria e le immortali tradizioni meridionali

Pasolini e la Calabria. Atti del Convegno di Acri 24-25 marzo 2023 (Pellegrini Editore) è il titolo del volume curato da Carlo Fanelli, docente di Discipline dello spettacolo all’Unical, nel quale viene presentato e indagato il rapporto tra lo scrittore e la Calabria. Il libro, uscito già da un po’ di tempo, è stato oggetto della presentazione che si è tenuta nella sala De Cardona “Bibliobanca” il 3 marzo, a cui hanno partecipato il Presidente della BCC Mediocrati, Nicola Paldino, il professore di Storia Contemporanea all’Unical, Vittorio Cappelli, il letterato Paolo Desogus, il professor Marco Gatto e, naturalmente, l’autore. Pasolini descrive il suo legame con la Calabria con toni forti e polemici, tipici della sua attività giornalistica e saggistica. Il reporter giunse per la prima volta nella nostra terra nel 1956, quando partecipò, senza vincere, alla manifestazione internazionale, ora soppressa, “Premio Crotone”. Nel 1959 vi tornò per la seconda volta sempre in occasione della medesima kermesse, ricevendo l’ambito premio per la stesura del romanzo “Una vita violenta”. Tra i due eventi lo scrittore compì un altro viaggio in terra calabra, in seguito alla denuncia di Vincenzo Mancuso, sindaco della giunta DC-MSI di Cutro. Pasolini aveva curato un reportage dal titolo “La lunga strada di sabbia”, dopo aver percorso chilometri e chilometri da Ventimiglia a Palmi su una Fiat 1100. Giunto nei pressi di Crotone si espresse in questo modo: “a un disperdersi delle dune gialle in un altopiano ecco Cutro, il luogo che più mi impressiona di tutto il lungo viaggio. È veramente il paese dei banditi, come si vede in certi western. Ecco le donne dei banditi, ecco i figli dei banditi. Si sente, non so da cosa, che siamo fuori dalla legge, dalla cultura del nostro mondo, a un certo livello”. Il primo cittadino Mancuso interpretò queste parole come un attacco, un’offesa alla dignità umana e lavorativa degli abitanti di Cutro. Il fatto ebbe una notorietà nazionale e giunse anche alle orecchie degli esponenti della DC. Pasolini, allora, decise di risolvere la questione scrivendo “Una lettera sulla Calabria” nel 1959, pubblicata sul Corriere, in cui dichiarava: “ho fatto come lo struzzo: non ho voluto saperne di più”. Chiarì che, con il termine “bandito”, voleva significare “emarginato dai diritti civili” per colpa dei governi nazionali. Secondo Fanelli, il regista bolognese non voleva assolutamente denigrare i calabresi, che aveva molto a cuore. La sua fu semplicemente una provocazione, in un periodo storico in cui Cutro aveva una maggioranza al Comune, costituita per metà dalla democrazia cristiana e per l’altra metà dal movimento sociale italiano. Lo scrittore aveva avuto l’impressione di trovarsi in una sorta di Far West, in una terra sabbiosa, un luogo dimenticato da Dio, ma non per questo meno bello e affascinante di altri territori. Quando Pasolini tornò in Calabria incontrò il sindaco di un altro paesino, i cui abitanti si lamentavano per via del crollo di un ponte che impediva loro di spostarsi con agilità. I cittadini erano costretti, d’inverno e d’estate, ad attraversare quel punto guadando un corso d’acqua. Pier Paolo finanziò di tasca sua, tra gli anni cinquanta e sessanta, la ricostruzione del ponte che fu attivo per molto tempo. Resta significativa la sua operosità e il suo amore per i calabresi, in un momento in cui si avvicinava alla stesura delle “Ceneri di Gramsci” (1957) dove ricorda l’Eccidio di Melissa. Ed è sempre la zona tra Crotone e Cutro che venne scelta per girare alcune scene del suo celebre film “Il Vangelo secondo Matteo” (1964). Il volume di Fanelli, che gode dei contributi di altri studiosi, ha l’intento di mettere in comunicazione l’intellettuale, che risente dell’ideologia del tempo, con la cultura del Sud. Pasolini parla della Calabria nella “Poesia dialettale del Novecento” (1952) definendola “un’isola”, al pari della Sardegna e della Sicilia, ma cogliendo il bello che c’è in questo suo status di isolamento. Scrive inoltre che “la poesia calabrese è una poesia di “evasione”: un ideale ritorno a una “nobiltà”, paesana e familiare, da un ideale viaggio compiuto dai diplomati o laureati calabresi per un’Italia burocratica, corrotta, cattiva […] la Calabria ha conservato ugualmente intatto il sapore dell’epoca più antica: sì che, dicono, è possibile in Calabria afferrare come un brivido nell’aria il sapore della preistoria”. Nel saggio “Passione e ideologia” (1960) dedica un capitolo alla lirica calabra, dimostrando un’attenzione linguistica, sociale e antropologica per il Sud. Sollecitato dall’antropologo Ernesto de Martino, da un lato, e dalla politica culturale gramsciana, dall’altro, il regista guarda al Meridione in modo costruttivo cercando di rivalutare, in maniera positiva, quelle che sono le sue peculiarità glottologiche. Il dialetto calabrese ha, secondo lui, un valore politico e antifascista avverso ad una società, che vuole sbarazzare come barbari i dialetti. Pasolini era convinto che l’intellettuale doveva parlare là dove taceva il politico, una posizione che l’avvicinava al concetto di “intellettuale integrato” di derivazione gramsciana, che non si rende indifferente ma si occupa, con la sua opera, anche della dimensione politica e contribuisce alla crescita di una nazione. È quindi un impegno integrato nella sua dimensione letteraria. Tanti i rapporti di Pasolini con intellettuali calabresi: Francesco Leonetti, scrittore espressionista di Cosenza, che fondò con Pier Paolo la rivista l’Officina, Ninetto Davoli, che partecipò a tante sue pellicole, Margherita Caruso e il partigiano Rosario Migale, che presero parte al film sul Vangelo secondo Matteo. Conobbe anche lo scrittore di Vazzano (Vibo Valentia) Sharo Gambino e il regista vibonese Andrea Frezza, grazie ai quali prese coscienza della situazione contadina calabrese.
