Editoriali
Pasqua 2020: oltre la salita della croce delle nostre paure
La tentazione è di fermarci alla via crucis, di sentirci inchiodati alla croce, preoccupati, come siamo in queste settimane, per la pandemia. Sembra quasi un paradosso dire che è Pasqua. Ma è Pasqua!
Quest’anno la tentazione è di fermarci alla via crucis, di sentirci inchiodati alla croce; preoccupati, come siamo in queste settimane, per la pandemia, rischiamo di rimanere nel fango delle notizie che annunciano morti, dolore, preoccupazioni e paura. Il futuro ci appare nebuloso, la luce poco chiara. Sembra quasi un paradosso dire che è Pasqua.Ma è Pasqua! Ed è proprio il giorno del grande paradosso, di Dio che muore in croce e risorge.Come cristiani, ci siamo sentiti un po’ smarriti dalla prospettiva di non poterci incontrare sui sagrati delle nostre parrocchie, di non poterci salutare tra i banchi; di non poter “fare la comunione”. I nostri sacerdoti hanno fatto di tutto per raggiungerci, si sono resi visibili per farci mancare il meno possibile le celebrazioni e le pratiche della quaresima.Nessuno di noi può dire all’altro come rendere più leggera la croce di queste settimane, come superare la paura che – per recuperare l’immagine iniziale – oltre il calvario non ci sia una promessa diversa, buona, definitivamente felice. Nessuno può giudicare il dolore di chi alla promessa di vita nuova non ci crede perché in questi mesi ha perso un caro e visti lacerati sogni e speranze. L’incertezza fa paura perché è ignota. È mistero. E questa forma di coronavirus con sé ha una carica grande di mistero.Mentre la pandemia scoppiava, mi venivano in mente i grandi viaggiatori, Marco Polo, Cristoforo Colombo, i nostri emigrati. Avevano anche loro paura dell’ignoto. E i nostri nonni che partivano per il fronte, non avevano paura? Avrebbero potuto perdere la vita in mare, per le Indie e le Americhe, nelle trincee. Ma ci hanno consegnato esperienze uniche di civiltà, il coraggio, la certezza di un continente nuovo, una nuova comprensione di quello che siamo.Forse potremmo provare a vivere così questo momento: non sottrarci alla paura, alla preoccupazione, all’ignoto, ma abitarlo con la pazienza di capire il buono che genererà, la speranza che ci attende.Spesso è dai diamanti che non nasce niente – poetava De Andrè – mentre dal letame nascono i fiori.Forse non sottraendoci alla difficoltà e alla preoccupazione personale, familiare, lavorativa riusciremo a non fermarci sotto il peso della croce portata per una strada irta e tortuosa e vedremo il bagliore di una risurrezione. Meglio e più bello sarà se lo vivremo abbracciati ai nostri cari.Potremmo immaginare che Cristoforo Colombo, ormai alle porte del Continente, abbia dovuto attraversare una tempesta notturna, ma poi, alle prime luci dell’alba, abbia visto il sole sorgere. Il cuore gli si sarà aperto. Possiamo anche noi sperare di fare questa esperienza. Non abbiamo il dovere di farlo, né un tempo limite. Neanche la domenica di Pasqua è il termine ultimo. Spesso non basta una vita per dirsi risorti.Ma Gesù è risorto, e senza questa notizia tutto è davvero più vano.