Editoriali
Perché non sia la giornata degli smemorati
Non basta fissare una data celebrativa (cui non si deve certo rinunciare), occorre anche agire concretamente perché "la memoria viva" degli orrori del recente passato non ci consenta – come antidoto efficace – di violare ancora la dignità degli esseri umani, soprattutto se in condizioni di disperazione e pericolo. Né di voltare lo sguardo dall'altra parte, quando questo accade. Per imparare, insieme, ad essere migliori, "memori" e non "smemorati".
Quindici anni fa, precedendo di un lustro il riconoscimento pubblico internazionale della ricorrenza, la legge n. 211 del 2000 istituiva nel nostro Paese il Giorno della Memoria, da celebrarsi ogni anno il 27 gennaio (data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz). Una data comune di memoria condivisa, per “ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati” (art. 1). Un giorno per dare spazio ad iniziative comuni “di narrazione dei fatti e di riflessione”, “affinché simili eventi non possano mai più accadere” (art. 2). Un segno di civiltà riconquistata, potremmo dire, in opposizione alla pagina più buia della storia contemporanea e, forse, di tutti i tempi. Eppure, dopo appena quindici edizioni italiane della ricorrenza (dieci a livello internazionale), c’è già chi sente il bisogno di mettere in guardia la comunità contro il rischio di uno svilimento delle finalità proprie al Giorno della memoria. E’ di questi giorni, infatti, la “provocazione” – costruttiva nell’intento – del giornalista Gad Lerner, di origini ebree, che propone di “cambiare l’intestazione della ricorrenza. Non più Giornata della Memoria, bensì Giornata degli Smemorati”. Motivo?
“L’Europa sembra proprio rifiutarsi di apprendere le lezioni della storia. Davanti ai fuggiaschi si richiude nell’egoismo e nell’indifferenza, sviluppa ostilità e mira ai respingimenti, proprio come avveniva negli anni che precedettero la Shoah”. I numeri – non v’è alcun dubbio – gli danno ragione. Solo in questo primo mese del 2016 (con la stagione invernale), già 31 mila persone si sono avventurate nella traversata dalla costa turca alle isole greche, esponendosi a gravissimi pericoli. Più di un centinaio i morti (45 annegati solo negli ultimi giorni). E siccome, in questa stagione invernale, col mare grosso e gelato i rischi aumentano, ecco che “un passaggio in canotto o in barca per traversare le poche miglia che separano la Turchia dalle isole greche viene fatto pagare dagli scafisti 2500 euro. Tariffa maggiorata, anzi, raddoppiata”. Un giro d’affari abominevole che, in un mese, ha generato un “fatturato” – che gronda sangue umano – di oltre 75 milioni di euro!“Io non mi scandalizzo – commenta Lerner – per il fatto che in alcuni paesi europei si chieda ai rifugiati di contribuire con i loro risparmi al proprio mantenimento, ma sono disgustato che in precedenza consentiamo un regime monopolistico di spoliazione dei loro averi da parte di chi offre loro l’unica via di transito verso la salvezza”. Come dargli torto? La storia avanza, le meschinità umane permangono, talvolta cambiando sembianze.
Perciò, alla comunità civica – cui ciascuno di noi appartiene – rimane il dovere di “fare memoria” degli errori commessi, per non ricadervi in futuro. Non basta fissare una data celebrativa (cui non si deve certo rinunciare), occorre anche agire concretamente perché “la memoria viva” degli orrori del recente passato non ci consenta – come antidoto efficace – di violare ancora la dignità degli esseri umani, soprattutto se in condizioni di disperazione e pericolo. Né di voltare lo sguardo dall’altra parte, quando questo accade. Per imparare, insieme, ad essere migliori, “memori” e non “smemorati”.