Chiesa
Pftim: la teologia per la cultura della pace
È stato avviato a ottobre il corso “Per una cultura della pace. Percorsi mediterranei” promosso dalla Pontificia Facoltà teologica dell’Italia meridionale (Pftim) di Napoli, in collaborazione con gli altri Istituti teologici del Sud Italia. Ne parliamo con la sua ideatrice
È partito a ottobre il corso “Per una cultura della pace. Percorsi mediterranei” promosso dalla Pontificia Facoltà teologica dell’Italia meridionale (Pftim) di Napoli, in collaborazione con gli altri Istituti teologici del Sud Italia. Si tratta di un percorso di formazione multidisciplinare per promuovere la cultura della pace e suscitare un diffuso impegno educativo, fornendo strumenti teorico-pratici per favorire il dialogo interreligioso a partire dal sapere teologico. Il Papa, nell’incontro del 21 giugno 2019 alla Facoltà teologica a Napoli, richiamò il compito della teologia “di costruire su tutto il bacino mediterraneo una ‘grande tenda di pace’ dove possono convivere nel rispetto reciproco i diversi figli del comune padre Abramo”. Il corso – ancor più nell’attuale scenario internazionale – nasce proprio da questo appello di Francesco, dal lavoro che la Rete teologica mediterranea sta compiendo e dalla collaborazione tra le varie articolazioni della Facoltà. Ne parliamo con l’ideatrice del corso, la teologa Giuseppina De Simone.
(Foto Siciliani-Gennari/SIR)
Professoressa, quali sono gli obiettivi del corso “Per una cultura della pace. Percorsi mediterranei”?
L’idea nasce dallo sgomento che si avverte di fronte all’impressionante dilagare della violenza a cui assistiamo: non solo le guerre con la loro portata di devastazione e di disperazione, ma anche la violenza che s’insinua tra le persone, che esplode nelle famiglie, una violenza senza senso.A partire da una sottolineatura che era presente nel discorso del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, di fine anno, siamo stati sollecitati a ragionare sulla necessità della promozione di una cultura della pace, una cultura capace di arginare il dilagare della violenza a tutti i livelli.
Anche il Papa ci chiede di continuo un impegno per la pace. Come si promuove la pace attraverso la formazione?
Sia a partire dalle parole di Mattarella sia dalle continue sollecitazioni del Papa, abbiamo iniziato a riflettere su cosa potevamo fare come persone impegnate nella ricerca e nell’insegnamento della teologia per contribuire a far crescere una cultura della pace e una sensibilità verso una pace da vivere anche nelle relazioni tra le persone, una pace da assumere come stile, una mentalità di pace, che rifiuta il conflitto a ogni costo e l’uso della violenza come soluzione dei problemi.La nostra esigenza nasce anche dal fatto che in questo momento storico particolare la matrice religiosa dei conflitti sembra essere tornata in primo piano.Riflettendo su questo tra alcuni di noi, è venuta l’idea di pensare a un corso che non si svolgesse solo nelle aule della nostra Istituzione accademica, ma utilizzando la modalità on line raggiungesse un numero molto ampio di persone.
A chi si rivolge il corso?
Il corso è indirizzato a tutti quelli che hanno una responsabilità educativa,non solo docenti, ma anche responsabili di gruppi, animatori di comunità, tutti quelli che hanno il compito di aiutare a formare le coscienze e a maturare una sensibilità, un’attenzione, una capacità di giudizio sulla realtà.
In particolare qual è il contributo della teologia per la pace?
Ci sembrava anche importante offrire questo servizio in maniera così ampia proprio perché fa emergere il senso del pensiero teologico, il valore di una teologia che non è elitaria o riguarda solo l’accademia, ma è per tutti. Una teologia che diventa fermento e lievito nella vita quotidiana, che aiuta a leggere la realtà, ad avere uno sguardo diverso sulle situazioni che sperimentiamo e a trovare anche dei criteri di orientamento per non subire quello che accade ma maturare una capacità critica di lettura. Dunque,una teologia che non ha paura di assumersi responsabilità in ordine alla storia né teme di svolgere un ruolo pubblico, dalla valenza sociale, civile, mettendo in circolo un sapere che può aiutare ad affrontare il tempo che viviamo in maniera più sapiente, in una logica di speranza e lungimiranza.
Il corso è organizzato dalla Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia meridionale di Napoli, in collaborazione con gli altri Istituti teologici del Sud Italia…
L’esperienza che abbiamo vissuto è stata entusiasmante. Pian piano l’idea di questo corso ha preso forma nel coinvolgimento delle Istituzioni accademiche e formative che sono legate alla Facoltà teologica dell’Italia meridionale. Per la prima volta c’è una proposta formativa che riguarda tutta la Facoltà teologica dell’Italia meridionale e le Regioni ecclesiastiche che sono legate alla Facoltà: Basilicata, Calabria e Campania. Sono coinvolti, quindi, gli Istituti teologici e gli Istituti superiori di scienze religiose di queste tre regioni.La stessa proposta del corso è stata costruita insieme, è stata un’esperienza bella, sinodale.
Com’è nato il corso già vuole essere un segnale che la pace si fa insieme?
Assolutamente sì. Quello che vogliamo trasmettere è uno stile, un modo di essere, che prima di tutto abbiamo sperimentato in questo lavoro condiviso. Il corso ha un valore aggiunto per come è stato pensato e per come viene condotto, perché anche la gestione è condivisa.
Come è strutturato il corso?
Iniziato a ottobre, il corso si svolge nel primo semestre dell’anno accademico, attraverso dodici lezioni on line, in cui si alternano voci di esperti che vengono dalle istituzioni coinvolte, ma anche esterni per la loro competenza specifica in alcuni ambiti, come Brunetto Salvarani, Marco Dal Corso, padre Claudio Monge. Il corso parte da una lettura geopolitica della realtà del Mediterraneo, in quanto la nostra attenzione si focalizza su guerra e pace nel Mediterraneo. Cerchiamo di capire il coinvolgimento della matrice religiosa nei conflitti in corso. Poi ci sono tre lezioni sulle tensioni opposte che abitano i tre grandi monoteismi, quindi l’ospitalità ma anche la tentazione dell’ostilità, presente in ogni credo religioso e rispetto a cui occorre sempre operare una conversione. Segue una lezione sull’esperienza religiosa come terreno di dialogo e incontro, se compresa in profondità come esperienza di un Dio che non possiamo ridurre a possesso, ma che, nel suo essere sorgente di relazione, ci spinge all’incontro con l’altro. Poi si continua con l’approfondimento del Magistero della Chiesa cattolica sulla guerra e sulla pace. Infine, ci occuperemo della pace come stile da assumere nelle relazioni e dei testimoni di pace nel Mediterraneo. Quindipartiamo dalla concretezza della situazione geopolitica attuale per arrivare a declinare la possibilità della pace, in uno stile di relazione quotidiano, anche attraverso testimoni che sono stati disposti a dare la vita perché la pace e il dialogo tra i popoli e le culture fossero possibili.
Il corso sarà solo on line?
No, a gennaio si svolgerà un laboratorio pedagogico e operativo in presenza nelle sedi delle diverse istituzioni coinvolte nel progetto. Durante il laboratorio i partecipanti al corso saranno aiutati a capire come possono tradurre in un’unità didattica o in un modulo formativo quello che hanno appreso durante il corso. Questo servirà non solo a mostrare la spendibilità del nostro corso, ma ha anche una valenza generativa, perché mostra concretamente come il pensiero che riguarda la pace abbia la capacità di generare ulteriore pensiero. La stessa teologia, se è legata alla vita, non è asfittica né sterile, perché è capace di generare vita e ulteriori percorsi di formazione, riflessione e di impegno.
La finalità, infatti, è quella di aiutare a maturare uno stile di pace nella quotidianità.
Questa sua idea s’inserisce nel cammino che sta portando avanti la Rete teologica mediterranea?
S’inserisce pienamente nel cammino della Rete.Lo spirito del corso è proprio quello della Rete, cioè di una teologia che vuole contribuire a rendere questo Mediterraneo un mare di pace, un mare di fratellanza, come ha detto il card. Jean Marc Aveline nell’incontro di Marsiglia dello scorso anno e come il Papa non si stanca di ripeterci.