Premio Strega 2020. Il colibrì di Veronesi “spicca il volo” verso il prestigioso riconoscimento

Lo scrittore fiorentino premiato due volte segna uno storico bis

Per tutta la sua infanzia Marco Carrera non si era accorto di nulla. Non si era accorto dei contrasti tra sua madre e suo padre, dell’ostile insofferenza di lei, degli esasperanti silenzi di lui, delle liti notturne consumate sottovoce, per non essere sentiti dai figli, e tuttavia Irene, di quattro anni più grande, scrupolosamente ascoltati e con masochistica precisione registrati in memoria”, queste parole sono solo alcuni degli scorci di ricordi dipinti nella tela di un romanzo, destinato a segnare la storia della letteratura contemporanea, a volte osannata, a volte svalutata come una sorta di “cenerentola”, rispetto alle glorie letterarie del passato.

E così, il fiorentino Sandro Veronesi, conquista i cuori dei suoi lettori all’unisono assieme a quelli dei critici che gli hanno conferito, per la seconda volta dopo ‘Caos calmo’ nel 2006, il premio ‘Strega 2020’ grazie a ‘Il colibrì’, romanzo pubblicato lo scorso autunno dalla casa editrice ‘La nave di Teseo’.

Chi è “il colibrì” Marco Carrera? Marco è sposato ed ha anche divorziato, ha una figlia di nome Adele, ha perso i genitori, non ha rapporti con il fratello e tutte le donne della sua vita sono state affette da patologie psichiatriche: donne amate, donne desiderate, donne “scure”, donne di famiglia. La struttura del romanzo è originale e travolgente: la lettura scorre abbastanza veloce. Sin dalle prime pagine ci accorgiamo che ogni capitolo è costituto da racconti, ricordi, elenchi, lettere e e-mail. Non siamo dinnanzi a una narrazione a trama lineare e nessun capitolo è uguale all’altro nella forma.

Marco è un uomo che vive in sospensione, un atteggiamento determinato da “coincidenze fatali, di perdite atroci e amori assoluti”: esperto equilibrista ha fatto del paradosso il proprio stile di vita. Non precipita mai in voragini esistenziali in modo irreversibile; con un disincantato pragmatismo, racconto dopo racconto, il personaggio sperimenta e concretizza il suo approccio pragmatico e forzatamente resiliente, almeno all’inizio, dinnanzi agli eventi della vita “il suo movimento è incessante per rimanere fermo, saldo, e anche quando questo non è possibile, per trovare il punto d’arresto della caduta – perché in fondo sopravvivere non significa vivere di meno”.

Carrera è una sorta di eroe molto comune dei nostri giorni, per la verità, che ha dovuto imparare a sopportare atroci lutti, abbandoni, le solitudini da rinuncia e disastri familiari, e l’essenza di questo insegnamento è contenuta in ‘luoghi di parolecome queste “[…] tu sei un colibrì perché come il colibrì metti tutta la tua energia nel restare fermo. Settanta battiti d’ali al secondo per rimanere dove già sei. Sei formidabile, in questo. Riesci a fermarti nel mondo e nel tempo, riesci fermare il mondo e il tempo intorno a te, certe volte riesci addirittura anche a risalirlo, il tempo, e a ritrovare quello perduto, così come il colibrì è capace di volare all’indietro”.

La trama a singhiozzi, scomposta per certi versi, a tratti sembra divertente, soprattutto nei primi capitoli, ma col procedere della lettura ci accorge che il cuore del lettore s’increspa, gradualmente, di dolore: il tema della morte, del suicidio, del cancro, dell’aborto o della eutanasia, schiaccia Marco, che troverà il suo riscatto a partire da una nuova vita, quella del bimbino portata in grembo da sua figlia Adele. Un romanzo sulla complessità della famiglia, coinvolgente, struggente: Marco è un personaggio comune e contemporaneo, che con resilienza riuscirà uscire fuori dai baratri della sua esistenza.