Presbiteri sempre in trincea per scrivere le pagine più belle della missione

Gratitudine al papa per la lettera ai sacerdoti. Anche dopo la notte dell'insuccesso e della fatica l'invito a gettare nuovamente la rete

Il Papa aveva raccomandato solo pochi mesi fa ai Vescovi italiani l’attenzione ai sacerdoti, l’ha fatto personalmente in occasione della memoria del patrono dei parroci lo scorso 4 agosto. Un’attenzione particolare ai preti che ogni giorno sono in trincea, i più esposti ai venti della vita e agli attacchi mediatici, alle tentazioni e alle fatiche.

Francesco ha preso carta e penna e, con zelo apostolico, come san Paolo faceva con chi lasciava alla guida delle comunità, ha scritto per esprime gratitudine, rinnovare l’incoraggiamento a quell’esercito che “non fa rumore” di giovani, adulti e anziani che hanno lasciato tutto per seguire il Signore, servendolo nella terribile quotidianità delle parrocchie e del ministero.

Meditando la lettera che il papa ci ha scritto quest’anno, vorrei quasi rispondere con altrettanta gratitudine alle consolanti righe che ci ha donato e che ci sostengono nel nostro giornaliero ministero sacerdotale. Così non ci sentiamo affatto soli.

Francesco ci ha voluti visitare “nell’ora più calda della nostra giornata”, quella giornata fatta di tante situazioni spinose, di fatiche, di gioie e di silenzi, ed è venuto alla tenda delle nostre delusioni, delle nostre solitudini, soprattutto quando incomprensione e malattia pervadono la nostra missione. Il papa si è avvicinato alla nostra tenda per ricordarci che essa può trasformarsi, come fu per Abramo e Sara, nella tenda della fedeltà e della Promessa mantenuta.

E ci ha ringraziati, tutti e ciascuno, ricordandoci quel legame di amicizia che ci rende carnalmente fratelli perché legati strettamente al Signore Gesù.

Con parole di padre, con la confidenza del pastore, il papa non ha nascosto ai suoi preti sparsi nel mondo il dolore per le contro-testimonianze, i crimini di alcuni, ma anche la sua piena coscienza che tanti soffrono a causa di tali abusi, fino a sentire una specie di impotenza, di sfiducia e di paura. Tali fragilità, peccati e crimini non sporcano l’opera di tanti che condividono le gioie e le lacrime dei loro fratelli, operano con passione in regioni lontane o servono i fratelli nella carità “immettendosi” in tante situazioni difficili e pagando di persona.

Alle tante delusioni il papa chiede a noi sacerdoti di far corrispondere un supplemento di gioia e di passione, facendo memoria del “si”, di quel primo si detto al Signore, quando abbiamo risposto alla nostra chiamata.

E poi Francesco ci presi per mano e ci ha riportati sul lago di Tiberiade, nel luogo del miracolo. Ci ha ricordato l’esperienza di Pietro quel mattino della pesca miracolosa per invitarci, dopo la notte della tempesta, a gettare con fiducia nuovamente la rete e per poi cadere in ginocchio davanti alla sua grande Misericordia.

La concretezza della rete piena, che tante volte abbiamo constato senza alcun merito, ci rimette in piedi e ci pone al riparo da una cultura troppo “gassosa” che sta penetrando nelle nostre comunità, nelle nostre relazioni, nei vincoli umani e sacerdotali, finanche nel nostro rapporto con Dio.

A seguire papa Francesco ci ha riservato una litania di grazie per il dono della vita, la passione nella lotta giornaliera per il regno, per i tentativi di costruire i legami di fraternità presbiterale, per la testimonianza e la sopportazione della fatica, per la celebrazione quotidiana dell’Eucarestia e dei sacramenti, per l’ardore della misericordia, per la capacità di commuoversi con i propri fratelli che il Signore ha loro affidato, per la carità esercita nello spirito del buon Samaritano. La gratitudine a Dio è un’arma potente ha scritto, ma la gratitudine espressa ai sacerdoti è una grande spinta che infrangere quelle tentazioni clericali di rimuginare, accusare, puntare il dito, arretrare nel proprio orticello, gettare la spugna.

E se è vero, come ci ha detto il papa che la missione a cui siamo stati chiamati non implica di essere immuni dalla sofferenza, dal dolore e persino dall’incomprensione; ci è chiesto anche di assumerli per lasciare che il Signore li trasformi e ci configuri di più a Lui. Saper affrontare questi momenti con fiducia e coraggio è la risposta più forte alle tentazioni di mollare, solo così  renderemo innocuo l’elisir velenoso del demonio che ci spinge allo scoraggiamento, ci fa sentire orfani soli e spalanca le porte alle disperazione.

Francesco sa bene che il cammino della vita sacerdotale non è sempre facile, ma ci conforta ricordandoci che Gesù, più di chiunque altro, conosce i nostri sforzi e risultati, così come i fallimenti e gli insuccessi.

Ecco allora la via: riposare e rifugiarci spesso in lui è il momento più fecondo. L’intimità e la preghiera sono le ricette per noi sacerdoti per tornare alla sorgente, per nutrirci e tornare ancora con più vigore a servizio del Popolo di Dio.

L’identità del prete è delineata: “porta i segni delle ferite e delle gioie della sua gente che nel silenzio presenta davanti al Signore affinché siano unti con il dono dello Spirito Santo”. È in questo binomio la speranza del pastore che confida e lotta affinché il Signore possa sanare la nostra fragilità, quella personale e quella delle nostre comunità. Il forte legame con Cristo e quello con il suo popolo restano i due poli entro i quali giocarci tutto il ministero sacerdotale. Come modello ci è lasciata la Vergine Maria che tutta si è data al progetto di Dio a favore del suo popolo.