Può un romanzo popolare parlare a più epoche e a più persone?

Quest'anno ricorrono i 50 anni dalla pubblicazione de "La Storia" di Elsa Morante, un libro di estrema attualità, rivoluzionario, anticonformista e profondamente vero

Se c’è un capolavoro che, più di ogni altro, può aiutarci a interrogare la nostra contemporaneità, segnata da due conflitti insensati, in Europa orientale e in Medioriente, e da problemi di ordine economico e politico che impattano sulla nostra vita, questo è “La Storia” di Elsa Morante. 

Avendo terminato da poco la lettura di questo bestseller vorrei proporre, in questa sede, una mia personale recensione, accompagnata da alcuni tra i più autorevoli studi compiuti sul testo da esperti umanisti di comprovata notorietà. Il mio vuole essere un timido tentativo di contestualizzazione del pensiero della Morante nella realtà odierna, cercando di dimostrare quanto la voce di quest’autrice continui ad echeggiare con forza e a rivolgersi a tutti noi, mettendoci in guardia contro l’infamia delle guerre che deturpano l’animo umano e distruggono la quotidianità. Niente di più vero se ci riferiamo al doloroso periodo storico che stiamo vivendo, fatto di incomprensioni e contraddizioni.

La Storia diviene uno dei casi letterari più discussi dopo la sua pubblicazione nel 1974. Il suo enorme successo attrae consensi eccessivi e non poche critiche violente ed esasperate, specialmente da parte di chi vede nello sforzo letterario morantiano una prospettiva antistorica e un atteggiamento arrendevole. Il romanzo intende esibire un risvolto politico di tipo anarchico: la Storia – come si legge in copertina – è “uno scandalo che dura da diecimila anni” e non accenna ad arrestarsi. Essa è sempre stata la storia del dominio e dell’orrore, che ha travolto i più deboli, le vittime, i bambini e le donne. Questa verità viene presentata da Elsa nella vicenda di una maestra elementare, Ida Ramundo, di origini miste (ebrea da parte materna e calabrese da parte paterna). Entrambi i genitori, Giuseppe Ramundo e Nora Almagià, sono stati insegnanti nella stessa scuola elementare di Cosenza dove si erano conosciuti. Ida vive insieme al figlio Nino a Roma negli anni della seconda guerra mondiale. La donna viene stuprata da un soldato nazista e dà alla luce un altro figlio di nome Giuseppe o Useppe. La scrittrice descrive con un linguaggio piano, naturale e scorrevole scene storiche, come la deportazione degli ebrei romani a opera dei tedeschi, il bombardamento del quartiere San Lorenzo e l’occupazione nazista della capitale italiana. Tutti i protagonisti della narrazione periscono tragicamente nell’immediato dopoguerra, ad eccezione di Ida che finisce in manicomio per poi morire a sua volta dopo 9 anni. Per la Morante la Storia dei potenti si contrappone a quella degli umili, e ciò che prevale alla fine è l’inganno della Grande Storia che annienta le piccole storie. Lo si può ben comprendere nella figura del piccolo Useppe che incarna l’innocenza, la purezza, la poesia, il mito e la semplicità e che, morendo in tenera età, sembra pagare tutti i mali commessi dagli uomini. Ma anche Davide Segre e Nino Ramundo, rispettivamente, un intellettuale ebreo difensore dei valori umani attraverso la ragione e un esuberante attivista che accetta per gioco la guerra e la Resistenza, restano vittime dello strano destino imposto dalla Storia (Davide morirà stremato dalla droga, mentre Nino viene ucciso dalla polizia mentre si dà al contrabbando, dopo aver militato tra le file delle milizie fasciste, in un primo momento, e dopo essere diventato un partigiano vicino ai comunisti in un secondo momento). Il messaggio che Elsa lancia è che è sempre l’élite al potere che decide la vita di milioni di persone, inconsapevoli vittime passate, presenti e future. Lo scandalo di cui la Storia si fa portatrice è proprio il potere dei forti sui deboli, contro cui la Morante oppone il proprio anarchismo libertario.

La lettura della realtà del romanzo è molto pessimista e, per questo motivo, in grande contrasto con le speranze di rivoluzione e progresso sociale di politici e intellettuali di sinistra del tempo. Il libro è di per sé controcorrente sia sotto l’aspetto ideologico che sotto quello letterario, oltre ad essere “fuori stagione” rispetto al periodo in cui viene pubblicato. Lo scrittore friulano Carlo Sgorlon ne “Invito alla lettura di Elsa Morante” (1972) ricorda che il testo della scrittrice romana è “costruito secondo una struttura tradizionale ma, è altresì, almeno in apparenza, un romanzo neorealista, quando il neorealismo è un filone ormai abbandonato da decenni”. La Morante ha una grande capacità di muoversi fra tradizione e innovazione, prende elementi della letteratura ottocentesca, legata ad un tipo di narrazione classica con tanto di espedienti quali la presenza del narratore onnisciente e il sentimentalismo dei personaggi, e li mescola con le nuove tendenze postmoderne novecentesche prossime all’eccesso, al magico, al sortilegio, al surreale. Il suo aperto anticonformismo la porta a sviluppare un tipo di letteratura che si distanzia dai tempi che corrono, e nella quale fa penetrare la sua natura più profonda e istintiva. Elsa non si stanca mai di mettere in evidenza il paradosso secondo cui la gente non vuole la guerra, ma di cui è costretta a subirne le conseguenze. Denuncia apertamente i misfatti della Storia e il male rappresentato da chi detiene il potere, opponendo a questa struttura minacciosa il bene degli umili, degli oppressi e dei “vinti” di cui prende le difese, come fa Manzoni nei Promessi Sposi. Ecco perché il libro si rivolge “all’analfabeta a cui scrivo” e non ai dotti o ai politici, proprio perché chi sta in basso nella scala sociale porta sul corpo e nella mente i segni delle prevaricazioni dei forti e dovrebbe mobilitarsi per cambiare le cose. Contro questa opposizione manichea tra bene e male, la scrittrice lascia aperto un piccolo spiraglio di salvezza e di redenzione, simboleggiato dagli accenni alla natura intima e primordiale presente in ognuno di noi, e alla gioia che traspare sul volto di vari personaggi come Useppe. È questa una componente più umana che connota l’immagine dei suoi “ultimi”, i quali sono pieni di sogni e di capacità favolistiche con cui evadono dalla realtà del tempo, ma sono anche interessati al mondo e lo guardano con occhi appassionati.

La prospettiva anarchico-populista della Morante trascina con sé anche una buona dose di cattolicesimo che l’autrice mai disdegna. Nella Storia, infatti, Dio viene presentato come quell’essenza che “si riconosce attraverso la somiglianza di tutte le cose. Dovunque si guardi, si scopre un’unica impronta comune. E così, di somiglianza in somiglianza, lungo la scalinata si risale a uno solo”. Dio è il punto estremo della verità, Colui di cui tutte le menti religiose devono dare testimonianza. L’ideologia anarchico-populista-cattolica della Morante provoca il suo schieramento dalla parte dei poveri, ma nel momento in cui tale ideologia cerca di dilatarsi e prova a spiegare il senso di tutte le cose e di ogni evento, allora cade a pezzi ed è travolta sempre dalla Storia. E questo spiega lo spegnersi del fervore dei rivoluzionari anarchici così come dei socialisti. Il critico letterario Cesare Garboli, nell’introduzione alla Storia datata Gennaio 1995, sostiene che il romanzo, all’epoca della sua uscita, “aveva scavalcato le mediazioni intellettuali e aveva stabilito un filo diretto … con quella che, col tempo, si sarebbe chiamata <<la gente>> … per la Morante l’accusa di tingere tutto di nero si portò dietro quella contraria, di consolare la disperazione con lacrime edificanti. Finalmente ci fu qualcuno che si decise a parlare di <<romanzo popolare>>, ma dal punto di vista, soprattutto, degli utenti”.

A mio avviso il libro di Elsa è di un’attualità così disarmante da lasciare a bocca aperta perfino le menti benpensanti o coloro che cercano, senza trovarla, una spiegazione a ciò che stiamo vivendo. Una retorica già sentita da più parti ridurrebbe tutto ad un gioco di forze e ad un equilibrio traballante tra bene e male. Sta di fatto che, vedendo in tv le immagini dei bambini uccisi a Gaza dai missili israeliani, o sentendo le notizie dei tanti morti in Ucraina e in Russia, il cuore soffre e lo strazio è grande. Possiamo allora gridare a gran voce che gli umili e i vinti sono coloro che stanno pagando il prezzo di uno strapotere che non ha più limiti, che corrompe chi lo detiene, che porta a soddisfare i propri impulsi egoistici anziché pensare al bene comune. I deboli vengono allora oggettivati e privati della loro dignità di esseri umani, perché intrappolati nei meccanismi tortuosi di menti criminali che perseguono i loro fini utilitaristici. Le loro microstorie violentate e distrutte, tuttavia, possiedono una forza tale da superare gli orrori di conflitti irrazionali e inconcepibili, rendendo chiara l’idea che a perderci saranno sia loro sia chi vuole padroneggiare e che vive in un perenne stato di insoddisfazione. Dobbiamo allora cogliere il pessimismo storico della Morante ribadito alla fine del libro con l’espressione “… e la Storia continua …”, cercando di fondare una nuova Grande Storia in cui gli orizzonti di pace possano essere edificati difendendo le piccole esistenze quotidiane.