Quattro storie che provocano

La cronaca del cammino dei migranti ci ha regalato, in questi giorni, immagini e storie diverse: il pianto di una ragazza palestinese, Reem, in Germania, per il diniego (poi ritirato) alla richiesta d’asilo; il pianto dei genitori di Raghad, la bambina siriana diabetica morta su un "barcone della speranza"; la fatica dell’accoglienza a Treviso; la strumentalizzazione della paura a Roma. Quattro istantanee che invitano a non guardare altrove, a non dimenticare.

In questi giorni, la cronaca del cammino dei migranti ci ha regalato immagini e storie diverse: quasi istantanee che provocano la nostra coscienza e la nostra intelligenza, la nostra fede, a non guardare altrove, a non dimenticare. Anzitutto dalla Germania al Mediterraneo abbiamo assistito a due pianti di migranti. Il pianto di una ragazza palestinese, Reem, che come altri 125.000 migranti in Germania, ha avuto il diniego della richiesta d’asilo, con il destino del rimpatrio, ha trovato la commozione di una parte del popolo tedesco e l’intelligente reazione del Governo di riconoscere l’asilo a Reem. E il pianto dei genitori di Raghad, la bambina siriana, che ha trovato la morte nella traversata del Mediterraneo, il Mare nostro che oggi è la sua tomba, per la brutalità di un’esigenza di spazio, di guadagno, che non ha permesso di tenere il proprio zaino, con il peluche e le fiale di insulina. Raghad e la sua famiglia, contrariamente al personaggio biblico Naam il siro, non hanno incontrato sulla loro strada un profeta come Eliseo che ha portato il regalo della salute e della salvezza di Dio. Due vicende che accomunano la sofferenza di chi non vede il riconoscimento dell’asilo e di chi non è accompagnato sul piano umanitario ed è costretto a comprarsi il diritto a un viaggio della speranza. Due storie di un’Europa che si chiude e si frantuma, interrompe il suo cammino verso la costruzione di una “casa comune”, che non può che essere una casa di tanti, di persone che provengono da Paesi ed esperienze diverse. Nei volti di una bambina di 10 anni della Siria e di una ragazza di 14 anni della Palestina, che vengono dalle terre della nostra storia della salvezza come non riconoscere “la carne di Cristo”, come ci ricorda spesso Papa Francesco?Se questi due pianti ci hanno ricordato la sofferenza, la tragedia dei migranti forzati, tutto questo sembra essere stato dimenticato, cancellato in un paese della provincia di Treviso e in una borgata della città di Roma. In questi due contesti, in maniera diversa abbiamo toccato con mano, da una parte, la fatica dell’accoglienza e, dall’altra, la strumentalizzazione della paura. A Quinto certamente un’incauta destinazione, non preparata, non programmata ha fatto, però, scattare un rifiuto preoccupante di 100 migranti. Le immagini di una donna, di una madre che ha acquistato con il mutuo di 23 anni un appartamento e che mostrava il suo sdegno per una considerazione diversa nei confronti di migranti e richiedenti asilo accolti nella palazzina in altri appartamenti vuoti da tempo, richiama lo sdegno del fratello maggiore nei confronti del padre misericordioso per l’atteggiamento di accoglienza del figlio e fratello prodigo. Quanta fatica nell’accettare l’accoglienza, il dono per un altro fratello, rifugiato, che ha perso la sua casa, il suo lavoro, la sua terra! A Casale S. Nicola la reazione contro l’arrivo di 19 giovani rifugiati del Senegal, del Mali, del Bangladesh non è stata spontanea, ma è stata preparata, costruita. Purtroppo assistiamo all’irresponsabilità di forze politiche e di gruppi che stanno trasformando il cammino di sofferenza, persecuzione e morte di rifugiati e richiedenti asilo, di migranti, in moneta per creare consenso politico o per favorire conflittualità sociale. Anziché favorire nelle nostre città – che sempre più si stanno spopolando per la partenza di giovani italiani e stranieri che non trovano o perdono il lavoro, per il numero di nascite inferiore al numero dei morti – processi di incontro, nuovi legami, gesti di accoglienza verso persone che possono diventare presto una risorsa per ridisegnare il cammino del nostro Paese, rischiamo d’ipotecare il nostro futuro, e soprattutto quello dei giovani, alzando muri, rifiutando incontri, contrapponendo le nostre, anche lecite, esigenze di benessere, alle esigenze di salvare la vita a chi fugge da guerre, disastri ambientali, a persecuzioni politiche e religiose. Forse è importante avere il coraggio di uno scatto di umanità. Forse il nuovo umanesimo cristiano, che vogliamo costruire insieme nelle nostre comunità, riparte oggi dall’accoglienza. Non dimentichiamo che il figlio, la terra, il futuro per Abramo, nostro padre nella fede, venne dall’accoglienza, mentre la morte e la distruzione per la città di Ninive fu causata dalla sua incapacità di accogliere lo straniero. L’accoglienza non nasce semplicemente da un dovere di ospitalità, ma è la sola strada per costruire il nostro domani, per progettare ancora una volta il nostro futuro.* Presidente fondazione Migrantes