Quel presepe nella stanza di Mattarella

Sul fondo della stanza dove Sergio Mattarella ha pronunciato il discorso di fine anno anche un presepe. Un messaggio di speranza che parte dalla mangiatoia.

C’è da augurarsi, a inizio 2016, che nessuno gridi allo scandalo se il Capo di uno Stato come l’Italia, il 31 dicembre, abbia pronunciato il suo messaggio agli italiani tenendo dietro di sé un presepe artistico. Siamo certi che quanti, di ogni colore, estrazione, pensiero, abbiano colto quello che le telecamere hanno costantemente ripreso sul tavolinetto in fondo, non siano certo stati disturbati da quella discreta presenza nella stanza privata di un presidente della Repubblica. Non so quanto sia stata meditata, voluta, quella scelta di tenere il presepe proprio lì, davanti a milioni di italiani, però mi piace pensare che quella sacra famiglia, tanto discussa e vituperata (non si sa perché!) possa dire qualcosa a tutte quelle categorie di persone e a quegli italici problemi che Sergio Mattarella ha richiamato nel suo discorso.

Perché quella famiglia costituitasi in una maniera sì inusuale, di certo per un creduto Messia, risponde a quella necessità e urgenza, per dirlo in gergo giuridico, di trovare e vivere di un lavoro che migliaia di giovani italiani vorrebbero, e che pure, non si sa perché, non riescono ad avere, stretti tra politiche talvolta asettiche e troppo gravide di promesse, però non mantenute. Ma non è questo il momento, né il Presidente per entrare in dialettiche e tenzoni politiche. Di certo, Mattarella, rispetto a Napolitano, ha abbandonato consigli e suggerimenti politici per un messaggio in tutto più sobrio, di certo più aggraziato da quei civili valori di cui la Repubblica, alla soglia robusta dei 70, è portatrice inossidabile.

Quella stessa famiglia del presepe, con il bue e l’asino di compagnia, è icona di tanti immigrati costretti a fuggire dalle proprie terre per sottrarsi alle piaghe più gravi, più brutte, più orride, a partire da quelle del terrorismo, dei tanti Erode chiamati Daesh che, qua e là, in giro per i Continenti, seminano terrore, costringendo a impensate e tristi diaspore verso l’Europa, che di certo sicura non è (e Mattarella lo sa e lo ha detto). Così la questione degli stranieri d’Italia, dell’accoglienza, dell’integrazione, prima che importante, è necessaria, in quella ineludibile scala di valori e priorità che un Paese a vocazione costituzionale deve per forza di cose abbracciare e stimolare.

Il lavoro, i giovani, la crisi e la voglia di andare avanti, nonostante ruberie e latrocini, evasioni e corruzioni. Perché l’illustre bistrattato bambino della culla esprime quel laico senso di speranza e giustizia che nessun’altra maggiore laicità potrebbe mai rivelare. Non c’è da scandalizzarsi, allora, se ospite inatteso (a Natale, toh!), nella casa di un italiano che vuole difendere genio e bellezza italica è il presepe.

Un grazie quasi scontato, allora, quello a Francesco, per l’impegno, il magistero, la misericordia. Quella parolina di fede che Mattarella osa civilmente tradurre con “comprensione reciproca”. E questo vuol dire tanto. Veramente tanto.