Editoriali
Quella cara bacchetta
Oggi le insegnanti stiano attente a convocare i genitori o saranno loro a prendere le bacchettate.
Una volta c’era in classe la bacchetta, con tanto di luogo o di alunno per custodirla. Veniva “dolcemente” utilizzata sulle mani del monello, di chi non studiava, di chi mancava di rispetto. I tempi sono cambiati, i metodi altrettanto. Non possiamo pensare più di riproporre un sano scappellotto che faceva meno male di quanto si pensa al corpo ma molto all’anima… però non è permesso nemmeno al genitore di aggredire l’insegnante o il preside. Se un educatore non ha il diritto di rimprovero su un ragazzo per la marachella commessa, perché non ha studiato, siamo alla frutta! E che il pasto della scuola sia in parte concluso lo sappiamo tutti. Ci si chiede perché si cercano, nella mancanza di fondi o nelle strutture precarie, le cause del decadimento della scuola… si studiano formule di indipendenza scolastica, progetti educativi, proposte di alternanza scuola-lavoro… tutte cose buone ma forse con scarsi risultati, almeno nella percezione generale. Mi chiedo ma quelli che sono stati i grandi dell’Italia, formatori e maestri di vita e di cultura, filosofi e uomini di alta politica, sono stati così penalizzati da quella formula di scuola dove si imparavano ancora poesie e tabelline, l’insegnante si chiamava maestra, e si doveva badare al braciere e cantare l’inno nazionale? E se prendevi una punizione, la maestra come primo alleato trovava la famiglia alla quale, prudentemente, non si raccontava la bacchettata o il rimprovero… a casa avrebbero dato ragione a lei. Oggi le insegnanti stiano attente a convocare i genitori o saranno loro a prendere le bacchettate.