Questione di coach

È una delle chiavi del grande successo del talent “The Voice of Italy”.

Nel troppo denso panorama dei talent show televisivi, si distingue “The Voice of Italy” (Rai2), un format che ha avuto origine nei Paesi Bassi, ideato da John De Mol, fondatore e titolare di quella Endemol che alcuni anni fa lanciò l’arcinoto “Grande Fratello”. La sua fortuna si è sviluppata negli stati Uniti, dove è approdato nel 2011 per diventare uno degli appuntamenti top della Nbc. Da lì si è diffuso in altri 35 Paesi del mondo, sbarcando inevitabilmente anche in Italia nel 2013.

Dopo il passaggio di “X Factor” da Rai2 a Sky, la seconda rete Rai aveva deciso di tentare una strada nuova con questo prodotto televisivo, che ha qualche peculiarità rispetto alla concorrenza: diversamente da quanto avviene in tutti gli altri talent canori, in “The Voice of Italy” i concorrenti vengono ascoltati ma non visti dalla giuria, che siede verso poltrone girate di 180° e ha come parametro di giudizio soltanto la voce e l’esecuzione musicale, non l’aspetto degli aspiranti cantanti né la loro eventuale capacità spettacolare.

Anche l’idea di cantanti professionisti che giudicano cantanti dilettanti – non così scontata in altri talent – è vincente. I giurati – quest’anno sono Piero Pelù, Noemi, il rapper J-Ax e la coppia formata da Francesco Facchinetti e papà Roby dei Pooh – sono anche coach, perché hanno il compito di selezionare i concorrenti meritevoli, arruolarli nelle proprie rispettive squadre, formarli e aiutarli a migliorare le proprie doti canore nel corso del programma per puntare alla vittoria.

I coach ascoltano le esibizioni dei concorrenti concentrando la loro attenzione soltanto sulla loro voce senza vederli, poi possono premere il bottone che fa girare la poltrona se vogliono che entri nella propria squadra. Se a premere il pulsante è un solo coach, il concorrente entra automaticamente nella sua squadra; se più di uno di loro si contende lo stesso candidato, è quest’ultimo a scegliere da chi farsi seguire; se nessun coach schiaccia il pulsante fino al termine dell’esibizione, il concorrente viene eliminato. Al termine di queste audizioni ciascun coach ha scelto 16 talenti per formare la propria squadra. Nella fase finale, i concorrenti rimasti in gara competono l’uno contro l’altro in diretta tv, attraverso turni a eliminazione che decretano un vincente per ogni squadra; i quattro rimasti si affrontano nella finale che designa il vincitore unico. Al quale spetta un contratto discografico di 200mila euro con la Universal Music Italia.

Può capitare ai giurati di sottovalutare qualche esibizione e agli aspiranti cantanti di sorprendere giuria e pubblico. È stato il caso, per esempio, di Chiara Iezzi, ex componente del duo Paola & Chiara che per molti anni ha cantato canzoni facili e orecchiabili, comparsa da sola senza la sorella a cantare senza che nessuno dei coach la riconoscesse dalla sola voce. In passato analogo tentativo aveva fatto Alessandra Druisian, ex cantante dei Jalisse, duo (meno noto del precedente) vincitore di un passato Festival di Sanremo. A lei andò male, perché non fu scelta, mentre Chiara Iezzi è riuscita a passare la “blind audition”.

Si può discutere, come puntualmente è avvenuto sul web, se la decisione della Iezzi di scendere nell’agone insieme ai dilettanti sia stata un atto di coraggio di chi ha deciso di mettersi alla prova (ri)partendo da zero o la trovata di chi è solo in cerca di un rilancio magari a spese di altri che avrebbero potuto entrare in competizione.

Resta il fatto che, come il titolo stesso del programma ribadisce, è la voce a essere protagonista. E questo, in fondo, non è poi tanto scontato nei talent show contemporanei, in cui non sempre vincono i cantanti più bravi ma spesso si affermano quelli più capaci di colpire il pubblico in qualunque modo.