Questione di genere…diverso…anche nella percezione del dolore

Un interessante studio scientifico sulla diade maschio - femmina.

Questione di genere? Pare proprio di sì. Ancora una volta, la diade maschio-femmina conferma tutta la sua validità, anche per quanto concerne la percezione del dolore cronico.La “improbabile” ed eterna competizione tra uomini e donne su chi sopporta meglio il dolore rischia così di finire in una bolla di sapone. Perché in realtà (a quanto sembra)… non ci possono essere vincitori! La ragione? Molto semplice: i due sessi percepiscono gli stimoli dolorosi con meccanismi differenti l’uno dall’altro, quindi “imparagonabili”. È questo il risultato di una recente ricerca, realizzata da un gruppo di studiosi della McGill University di Montreal (Canada). I ricercatori hanno dimostrato che nei maschi e nelle femmine sono differenti le cellule deputate a mediare la sensazione del dolore cronico. La scoperta – descritta in un recentissimo articolo pubblicato su Nature Neuroscience – riveste grande importanza per le notevoli implicazioni che comporta circa la comprensione delle basi del dolore e la conseguente possibilità di sviluppare una nuova generazione di farmaci per il dolore cronico.In effetti, finora gli studiosi del settore avevano maturato la convinzione comune che la trasmissione del segnale dolorifico dal sito di una lesione o di un’infiammazione verso il cervello avvenisse con la mediazione di particolari cellule del sistema immunitario, presenti nel sistema nervoso centrale, le cosiddette cellule della microglia. La nuova ricerca dimostra che questo meccanismo è vero, ma solo nei maschi. Come spiega il professor Jeffrey Mogil, uno degli autori dello studio, “da tempo la ricerca ha dimostrato che gli uomini e le donne hanno una sensibilità diversa al dolore. Queste ultime soffrono maggiormente il dolore cronico. Nonostante la differenza, gli scienziati hanno sempre pensato che nei due sessi il meccanismo con cui lo stimolo doloroso arriva al cervello sia identico”. Convinzione che, alla luce dei risultati di questo studio, si è invece rivelata erra ta.Lavorando su un gruppo di topi, infatti, Mogil e colleghi hanno provato a ridurre il dolore cronico indotto da un’infiammazione o da una lesione nervosa, inibendo (in vari modi) la capacità di risposta della microglia ai segnali dolorifici che riceveva e doveva ritrasmettere. Risultato? Gli scienziati hanno osservato che il dolore veniva efficacemente soppresso soltanto nei topi maschi, ma non nelle femmine. In particolare, questa differenza di risposta in base al sesso era legata agli elevati livelli dell’ormone maschile testosterone, che interagisce con la microglia.Approfondendo la ricerca con un’ulteriore serie di esperimenti, i ricercatori hanno poi scoperto che, nelle femmine di topo, la trasmissione del dolore non avviene sfruttando la microglia, ma un altro tipo di cellule immunitarie, i linfociti B e T.Probabilmente, questa differenza finora non era stata riconosciuta – osservano gli scienziati – perché, negli studi sul dolore, sono stati usati quasi esclusivamente topi maschi.Dagli animali da esperimento all’uomo. Poiché il sistema nervoso dei topi è molto simile a quello umano (soprattutto nelle componenti coinvolte in funzioni fondamentali dal punto di vista evolutivo, come quella del dolore), il risultato è verosimilmente trasferibile anche all’essere umano. Con la conseguenza che, in un futuro molto vicino, un efficace controllo del dolore cronico nelle donne richiederà lo sviluppo di farmaci differenti da quelli usati nei maschi. “Sappiamo che il numero di donne che soffre di dolori cronici è più grande rispetto a quello degli uomini – ha spiegato Mogil – ma l’ipotesi di base è sempre stata che la modalità dell’elaborazione del dolore fosse la stessa in entrambi i sessi. La consapevolezza che la base biologica del dolore è così diversa tra uomini e donne solleva questioni importanti sia per la ricerca di base sia per alcuni risvolti di tipo etico”.Insomma, siamo di fronte ad un’ulteriore scoperta che con ogni probabil ità sensibilizzerà maggiormente i ricercatori a prestare attenzione alla cosiddetta “medicina di genere”.