(Re)thinking Europe. Padre Heikki Huttunen (Kek): “Per l’Europa è tempo di equità sociale”

"L’Unione europea è diventata vittima del suo stesso successo. Ha avuto successo nel raggiungimento di molti obiettivi ma ha perso il senso stesso del suo processo. Come riconquistare dunque la fiducia della gente? Dobbiamo ricominciare a parlare delle situazioni reali oggi e fare del progetto europeo qualcosa di ancora rilevante per la gente". Intervista a padre Heikki Huttunen, segretario generale della Kek, in vista del "dialogo internazionale" su "(Re)thinking Europe" (Vaticano, 27-29 ottobre).

Europa in crisi? Meglio parlare di un progetto in continua evoluzione, che per ripartire deve rimettersi in ascolto delle persone e dei loro bisogni. Disoccupazione, sacche di povertà ed esclusione sociale, questione giovanile, mancanza di prospettive future. Nata come un progetto di pace e riconciliazione, la grande sfida dell’Europa oggi è garantire ovunque e a tutti una “equità sociale”. Solo così l’Unione europea potrà continuare a battere nei cuori degli europei. È questa la “ricetta” per far ripartire il progetto europeo a 60 anni dalla sua nascita con la firma dei Trattati di Roma. Ad indicarla è padre Heikki Huttunen, della Chiesa ortodossa di Finlandia (Patriarcato ecumenico), segretario generale della Conferenza delle Chiese europee (Kek), organismo ecumenico che riunisce le Chiese cristiane presenti in Europa di tradizioni protestante ortodossa, anglicana. Huttunen parteciperà come delegato fraterno al dialogo internazionale “(Re)thinking Europe – Il contributo dei cristiani al futuro del progetto europeo”, che si terrà in Vaticano dal 27 al 29 ottobre e vedrà confluire vescovi, politici e rappresentanti a vario titolo della società civile d’Europa.

Padre Huttunen, a che punto è arrivata l’Europa oggi?L’Europa si trova di fronte a interrogativi importanti. Sì, viviamo tempi difficili ma preferisco parlare di perdita di visione. Solo fino a qualche anno fa, Paesi che non erano membri della Ue, chiedevano di entrare. Ora, all’interno della stessa Unione europea c’è chi parla di Grexit, riguardo alla Grecia, e di Brexit. L’Europa ha perso il suo focus, e questo focus va riscoperto. Lo possiamo chiamare valori, obiettivi, principi oppure progetto di pace e democrazia, o ancora spazio di diritto e trasparenza, luogo di equità sociale. Penso che in questi anni l’Unione europea abbia avuto successo come progetto di pace ma permangono situazioni che invece di migliorare sono diventate oggi più fragili. Penso all’equità sociale.

Che cosa intende dire?Sto dicendo che la passione per l’Europa è legata alla vita di tutti i giorni. Stiamo parlando di politica e la politica è qualcosa che deve, in qualche modo, rispondere ai bisogni e ai problemi della gente.

L’Unione europea è diventata vittima del suo stesso successo. Ha avuto successo nel raggiungimento di molti obiettivi ma ha perso il senso stesso del suo processo. Come riconquistare dunque la fiducia della gente? Dobbiamo ricominciare a parlare delle situazioni reali oggi e fare del progetto europeo qualcosa di ancora rilevante per la gente.

È stata dunque questa incapacità a parlare con le persone e ad ascoltare i loro bisogni la ragione del grande successo dei partiti di estrema destra in Europa? In realtà io vedo trend differenti. Sì, c’è questo successo delle estreme destre ma, alla fine, nelle tornate elettorali hanno vinto Macron in Francia e la Merkel in Germania, sebbene quest’ultima non in maniera brillante. Anche in Olanda sta crescendo il partito dei verdi. Quindi se si guarda all’Europa si scorgono molti trend. Anche se è vero che oggi l’estrema destra è sorprendentemente tornata a far parte della realtà politica europea e, per me, questo successo è segno di un dissenso e di una frustrazione che sono presenti oggi in Europa. Ci sono, cioè, persone che si sentono tagliate fuori dalla società. C’è un interessante saggio di uno studioso finlandese, secondo il quale il populismo non sta attaccando le vere élite della società, come i grandi poteri economici e i grandi capitali, ma sta attaccando le apparenze.

Le battaglie delle forze populiste sono molto superficiali: offrono soluzioni facili a persone infelici.

Cosa c’è sotto questa superficialità?C’è una domanda. Dobbiamo chiederci se abbiamo fatto abbastanza e cosa dobbiamo fare per garantire in Europa una migliore equità sociale, condizione per cui le persone non si sentono più escluse e possono guardare con speranza al futuro. Guadiamo ai tassi di disoccupazione della Grecia, siamo su livelli del 50/60 per cento. Prendiamo la popolazione Rom che non è registrata e, pertanto, non esiste, sulla carta. In Europa ci sono situazioni come queste per cui le persone vivono ma non hanno alcuna prospettiva futura, sono europei, ma sono tagliati fuori dalle nostre società, lavorano ma non hanno alternative di crescita. Sono queste le ragioni per cui i partiti di estrema destra crescono.

Sta dicendo che l’Europa per ritornare nel cuore delle persone oggi, deve ripartire dai poveri, dagli esclusi?Sì. Dobbiamo riscoprire le idee originarie che dettero vita al progetto europeo e ricominciare a metterci in ascolto delle persone. A questo proposito, vorrei anche sottolineare che fino ad oggi l’Europa occidentale ha dominato sulla scena europea. Non sappiamo fino in fondo cosa vivono le persone dell’Est, quali sono le loro aspirazioni. E poi aggiungo anche che l’Europa deve capire quale ruolo svolgere nel mondo, nella speranza che sia più attivo. Abbiamo detto che il progetto europeo è stato un progetto di pace, ma lo è stato solo per se stessa. L’Ucraina è geograficamente parte dell’Europa, e in Ucraina è in atto una guerra. In Siria, la guerra continua. La Libia è nel caos. E in tutte questa situazioni, l’influenza dell’Europa è stata fino ad oggi quasi pari a zero. E, infine, la questione migratoria: ci sono persone che vogliono venire in Europa. Come riceverle, come accoglierle nella maniera più giusta?

Cosa pensa di questa iniziativa d’incontro, di dialogo e confronto sull’Europa, fortemente voluta da papa Francesco e dai vescovi della Comece?Intanto voglio dire che è il modo migliore per celebrare l’anniversario dei Trattati di Roma. Ciò che mi ha colpito positivamente è la forma di dialogo che si è dato all’incontro. Perché è esattamente quello di cui abbiamo bisogno. Abbiamo bisogno di ascoltarci gli uni e gli altri, di discutere… ed è questa la strada su cui proseguire, l’unica possibile per trovare nuove soluzioni. Mi vorrei poi congratulare con la Comece per il carattere ecumenico che hanno voluto dare all’incontro, coinvolgendo delegati di diverse Chiese e di diversi Paesi. È, a mio parere, un buon messaggio.