Ricoonciliazione incompiuta in Costa d’Avorio

Hanno scelto un luogo e un momento simbolici, i vescovi della Costa d’Avorio, per tornare a chiedere pace e riconciliazione. Migliaia di fedeli cattolici si erano radunati, lo scorso 22 maggio, nella basilica di Nostra Signora della Pace di Yamoussoukro, a conclusione del grande pellegrinaggio nazionale organizzato per celebrare il Giubileo della misericordia. A cinque anni dalla fine della guerra civile restano in carcere centinaia di detenuti. E le prigioni diventano una frontiera dell’impegno cristiano nell’Anno Santo della misericordia.

Hanno scelto un luogo e un momento simbolici, i vescovi della Costa d’Avorio, per tornare a chiedere pace e riconciliazione. Migliaia di fedeli cattolici si erano radunati, lo scorso 22 maggio, nella basilica di Nostra Signora della Pace di Yamoussoukro, a conclusione del grande pellegrinaggio nazionale organizzato per celebrare il Giubileo della misericordia. Un’occasione che la Chiesa cattolica ha colto per ricordare quanto ancora ci sia da fare per unire il Paese. A destare preoccupazione è soprattutto la situazione dei prigionieri politici, eredità del conflitto civile combattuto tra 2010 e 2011. Secondo un rapporto riservato citato dal quotidiano francese Le Monde, si tratterebbe di oltre 230 persone, la maggior parte ancora in attesa di giudizio a più di cinque anni dalla fine delle ostilità.

Riconciliazione incompiuta. “La riconciliazione esige naturalmente la liberazione dei prigionieri presi durante il conflitto nel Paese, soprattutto perché, da questo punto di vista, nessuno può dirsi innocente”, ha esortato durante la celebrazione a Yamoussoukro mons. Ignace Bessi Dogbo, vescovo di Katiola. “Per riconciliarsi bisogna essere liberi e per essere liberi bisogna avere libertà di movimento”, ha poi aggiunto, parlando a nome dell’intera Conferenza episcopale. L’appello non è stato accolto con favore dalle autorità locali. “Non è questo lo stato di diritto”, ha risposto ai presuli il portavoce del governo, Bruno Nabagné Koné, sostenendo poi che i prigionieri di cui si è chiesto il rilascio “meritano di essere in detenzione”. La polemica mostra quanto ancora siano vivi i ricordi degli scontri che, dopo le elezioni del 2010, provocarono circa 3.000 morti. Ad affrontarsi furono le milizie fedeli al presidente eletto Alassane Ouattara e le truppe rimaste al fianco del suo predecessore Laurent Gbagbo, che rifiutava di lasciare la carica. Dopo la sua sconfitta, l’ex capo di Stato fu consegnato alla corte penale internazionale dell’Aia, mentre molti suoi fedelissimi furono arrestati dalle nuove autorità. Tra loro, la stessa moglie del vecchio presidente, Simone, che ha dovuto affrontare in questi anni due processi. Il primo, per “attentato all’autorità statale”, si è concluso con la sua condanna a vent’anni di carcere, mentre il secondo ha preso il via alla fine di maggio, facendo temere reazioni dei nostalgici dell’era Gbagbo. “Non vedo movimenti di protesta, né in realtà grande interesse – testimonia però dalla capitale economica Abidjan padre Dario Dozio, sacerdote della Società delle missioni africane -. Ma la riconciliazione resta da costruire e qualche malcontento esiste”.

Impegno ecclesiale. Le elezioni dello scorso anno, in effetti, hanno visto la riconferma del presidente uscente Ouattara, ma la vittoria quasi plebiscitaria (più dell’80% i voti a suo favore) è stata resa meno netta da un’astensione di oltre il 50%. E anche gli innegabili progressi economici incidono poco sulla situazione del Paese. “Si costruisce, si asfaltano strade, si costruiscono ponti ed autostrade – racconta ancora padre Dario – ma il livello di povertà resta alto. La gente comune ancora non sente gli effetti di questo cambiamento”. È anche dal campo sociale, dunque, che occorre partire per cementare la stabilità del Paese, e in quest’ambito i religiosi e i laici cattolici possono giocare un ruolo fondamentale. “La Chiesa è ben vista: anche se i cristiani non sono maggioranza nel Paese, la loro azione per la giustizia sociale è sempre stata apprezzata”, nota ancora il missionario italiano. Con questo spirito i fedeli stanno vivendo anche i mesi del Giubileo straordinario. “Il messaggio della misericordia viene trasmesso attraverso gesti concreti – prosegue padre Dario – anche se non fanno molto rumore”. Proprio le carceri sono una delle frontiere dell’impegno cristiano. Gruppi di volontari visitano regolarmente i prigionieri, compresi i detenuti politici, nel tentativo di rendere meno dura la loro condizione. La speranza resta, comunque sia, quella di un ripensamento delle autorità, che nei mesi passati avevano compiuto alcuni passi incoraggianti proprio nella direzione della clemenza. Ottantacinque prigionieri politici erano stati tra i beneficiari di un provvedimento di grazia presidenziale: una strada che i vescovi hanno chiesto di continuare a seguire, ma che, per ora, si è di nuovo chiusa.