Insieme per abbattere le barriere

Da quasi trent'anni il Circolo Culturale Popilia apre le porte ai ragazzi e alle  famiglie Rom sedentari che vivono nella nostra città

Il Vangelo proclamato durante la celebrazione delle Ceneri mercoledì scorso, ha richiamato in maniera forte l’attenzione sul guardarci dal praticare le nostre buone opere davanti agli uomini per essere da loro ammirati. Questo passo così denso di significato non solo ha ispirato questa breve introduzione, ma ci è sembrato anche il più opportuno per presentare un’associazione di volontariato che da quasi trent’anni lavora nell’ombra al fianco degli ultimi, dei meno fortunati, degli esclusi, degli emarginati. Esiste, infatti, un volontariato nascosto, che opera senza squilli di tromba, che trova poco spazio sui giornali e in tv ma che ha a cuore il bene del prossimo e ha come fine il “dare” e non il “ricevere”. Sono stati infatti questi i presupposti alla base della nascita del Circolo Culturale Popilia che a partire dai primi anni ottanta ha iniziato il suo cammino al fianco dei Rom sedentari che vivono nella città di Cosenza. L’origine dell’associazione si deve al lavoro “preparatorio” del padre gesuita Alberto Garau il quale, appena giunto nella città bruzia, volle scoprire chi erano gli ultimi, gli emarginati, e li individuò nei Rom che abitavano lungo via Gergeri e su via Popilia dove in gran parte si trovano tuttora. “Il primo passo – ci spiega la presidente Franca De Bonis – fu la frequentazione di alcune famiglie; poi il padre gesuita si concentrò nella somministrazione dei sacramenti e, quasi contemporaneamente, prese piede il discorso della scolarizzazione con le prime iniziative fatte in collaborazione con il comune di Cosenza volte ad accompagnare i bambini Rom a scuola”. Padre Garau, che per lungo tempo fu anche cappellano dei Rom sedentari, rimase in città per quasi 10 anni e accompagnò la prima fase di formazione di quello che poi, nel 1990, divenne ufficialmente l’Associazione di Volontariato Circolo Culturale Popilia. L’iniziativa intrapresa dal padre Gesuita venne assunta come vocazione da quel gruppo di famiglie che già collaborava con il sacerdote, le quali, decisero di continuare in quella direzione. “Si proseguì nella fase di conoscenza delle famiglie Rom – ci racconta ancora la presidente – che ci permise di capire su quali ambiti era necessario intervenire. L’accompagnamento pastorale, unitamente alla cultura e alla scolarizzazione, sono state le direttrici che ci siamo dati e su quello abbiamo concentrato le nostre forze”. È proprio seguendo queste direttive che prese vita anche la sede storica del Circolo, ubicata in via F. La Camera, una traversa di via Popilia, dove a partire dal 1987, dopo un periodo che servì per approntarla alle nuove esigenze, si cominciò a fare accompagnamento scolastico ad alcuni ragazzi che frequentavano la scuola media e si avviavano alle scuole superiori. Dopo una prima fase “sperimentale” le attività del Circolo si concentrarono lungo questo indirizzo che ancora oggi, a distanza di più di venti anni, continua a offrire sostegno e accompagnamento scolastico a decine e decine di bambini e ragazzi Rom che ogni giorno, dal lunedì al venerdì, dalle 15.00 alle 19.00, animano e riempiono le sale dell’associazione. “L’accompagnamento ai ragazzi – come ci tiene a precisare ancora la presidente De Bonis – non è mai stato slegato dal rapporto, sostegno e confronto con le loro famiglie, che avviene attraverso incontri mensili che ci hanno permesso, nel corso degli anni, di instaurare rapporti di amicizia, di intessere relazioni che hanno contribuito ad abbattere quel muro che spesso ci allontana dall’altro, facendo emergere come uno degli obiettivi principali della nostra associazione quello della tutela e promozione delle tradizioni culturali dell’etnia Rom ‘italo-zingara’ ”. Le attività svolte dai ragazzi all’interno di quella che nel tempo è diventata una vera e propria biblioteca popolare ad uso di tutto il quartiere e nella quale vengono conservati numerosi testi sul popolo e sulla cultura Rom e sulla non violenza, vanno dall’accompagnamento nei compiti, cercando di consolidare il lavoro di apprendimento che si fa il mattino a scuola e, in una seconda fase, svolgendo diverse attività socio-educative. Così, secondo un calendario predisposto dai volontari e dagli insegnanti che collaborano con il Circolo, teatro, cineforum, corsi di arte, lezioni di chitarra e di lingue straniere accompagnano i ragazzi durante tutta la settimana. Importanti ancora le attività proposte al di fuori della sede con visite guidate ai musei, alle mostre, all’università, alle biblioteche, sempre opportunamente precedute da una fase preparatoria fatta di ricerca e analisi propedeutica alla visita, e ai laboratori svolti in collaborazione con altre realtà associative come il Mo.C.I. e alcuni gruppi scout. Attività e laboratori che, quasi a voler riassumere il percorso svolto durante tutto l’anno, si concludono con il campo estivo a Quaresima, in Sila, in una struttura messa a disposizione dai padri Gesuiti, dove nei primi giorni di Luglio bambini e ragazzi Rom insieme alle loro famiglie e ai volontari dell’associazione, sono chiamati a vivere un’esperienza di crescita umana attraverso la vita in comune. “È un momento forte perché si vive insieme – ci dice ancora la presidente -. Per noi ha significato abbattere il pregiudizio nel vero senso della parola, perché fin quando ti confronti come adulto con il bambino hai sempre qualche chance in più, ma quando il confronto è alla pari, è un’altra cosa. Accogliere l’altro nella sua diversità, ed essere accolti nella nostra, non è una cosa scontata”.

Così questi dieci giorni fatti di momenti di preghiera, accompagnati da alcuni gesuiti in formazione, di attività teatrali, mirate alla messa in scena di una storia tratta dal testo biblico e, ancora, dalla quotidianità con pulizie domestiche, piccoli lavoretti alla casa, preparazione dei pasti, e l’immancabile fuoco alla sera, diventano la palestra nella quale vivere in comunione riconoscendo nel prossimo nostro fratello.

 

 L’INTREVISTA

Insieme alla presidente Franca De Bonis, psicoterapeuta e una delle fondatrici del Circolo Culturale Popilia, abbiamo fatto il punto sul lavoro svolto finora e sulla situazione dei rom stanziali che vivono nella nostra città da sempre accompagnati da discriminazioni e pregiudizi.

Uno dei principali obiettivi della vostra associazione è quello di promuovere e tutelare l’etnia italo-rom attraverso iniziative culturali e sociali. Dopo trent’anni di attività a che punto sentite di essere?

Sentiamo di aver stabilito, costruito, una relazione di conoscenza e di amicizia con i rom sedentari. Quel percorso intrapreso, che partiva sulla base di alcuni pregiudizi, ci fa dire, dopo tutti questi anni, che non ci sono più barriere.

Infatti discriminazioni pregiudizi hanno sempre accompagnato i Rom. Su cosa bisogna lavorare per invertire questa tendenza?

Sulla conoscenza, perché il pregiudizio nasce dalla generalizzazione. Noi l’abbiamo fatto attraverso un percorso religioso, altri lo potrebbero fare nell’ambiente scolastico o nel loro ambito lavorativo. Chi viene a contatto con i Rom dovrebbe provare a comprendere e capire di più invece di giudicare e alzare barricate.

Qual è la situazione dei Rom oggi nella nostra città?

Intanto bisogna precisare che negli ultimi anni quando nella nostra città si parla di Rom ci si riferisce quasi esclusivamente ai Rom rumeni, quasi come se i Rom fossero solo loro dimenticando i Rom sedentari, quasi un migliaio, presenti nella nostra città dal secondo dopoguerra. Si tratta di persone, famiglie, che vivono del loro lavoro, tra le cooperative sociali e diversi lavori autonomi.

Recentemente avete ricevuto in Cattedrale, insieme ad altre due associazioni tra cui il nostro settimanale, il premio “Costruttori di Pace”. In che modo sentite di operare in tal senso?

Ci sentiamo costruttori di pace perché impegnati in prima persona a superare le barriere che ci allontanano dall’altro, che creano muri e non permettono di creare contatti, di entrare in relazione.

Doposcuola, incontro con le famiglie e con gli insegnanti, laboratori, formazione dei volontari sono il cuore delle vostre attività. Quanto lavoro c’è dietro?

Trent’anni. Una vita, perché tutti i giorni siamo sul campo. È una presenza continua, che è poi la nostra forza. Non è tanto il fare in sè ma essere stati e continuare a lavorare insieme a loro per tutti questi anni. In questo si può cogliere tutta l’energia, il senso di cosa significa radicarsi in una realtà, in mezzo a un popolo.