«E la Parola si fece carne e piantò la sua tenda in mezzo a noi» (Gv 1,1-18)

Commento al Vangelo di Domenica 05 Gennaio 2025 (II Domenica dopo Natale) a cura di Suor Nicoletta Gatti (Missionaria in Ghana)

All’inizio del suo vangelo, Giovanni ci conduce oltre la storia umana, nel cuore del mistero stesso di Dio. È un brano che toglie il fiato e spalanca anche per noi le porte dell’infinito. Giovanni, infatti, apre il suo vangelo componendo un volo d’aquila che presenta il Natale nella prospettiva di Dio: «In principio era la Parola… e la Parola era Dio. […] E la Parola si fece carne e piantò la sua tenda in mezzo a noi» (Gv 1,1.14).

Il poema segue il movimento della Parola: da Dio alla condivisione della storia umana per poi tornare nuovamente a Dio trascinando con sé tutti coloro che sono stati resi figli di Dio (v. 16). Il tema del nostro testo è, dunque, l’identità della Parola, nella sua relazione con il Padre, l’umanità e il mondo intero. Chi è, dunque, la Parola?

Giovanni ci dice che è distinta da Dio, ma è in una relazione intima con Lui: è nel suo grembo perché è il Figlio unigenito (v. 18). Proprio quest’esperienza lo rende testimone del Dio invisibile. Proclamare poi che «la Parola si è fatto carne»non significa asserire solamente la sua umanità, ma evidenziare il suo essere “umano” segnato dalla debolezza e dalla sofferenza, dalla fragilità e dalla morte. Per la duplice appartenenza a Dio ed all’umanità, la Parola interroga chiunque entri in contatto con lei. Il vangelo di Giovanni è costruito proprio attorno a questa sfida: percepire nella carne di Gesù di Nazareth il volto di Dio. La dinamica diviene cruciale nel proseguo del racconto dove la relazione con la Parola diverrà il criterio di valutazione dei diversi personaggi, scindendo l’udienza di Gesù in due gruppi distinti: coloro che lo ri­fiutano e coloro che lo accolgono. La lotta tra luce e tenebre, introdotta al v. 5, pone rifiuto e accoglienza in un orizzonte cosmico, nella lotta continua tra il bene e il male, tra l’amore che costruisce e l’odio che distrugge.

Il testo continua affermando che Gesù non è venuto per portare un sistema di pensiero o una nuova teoria religiosa. Ci ha comunicato la vita e ha acceso in noi il desiderio di pienezza: «Sono venuto perché abbiano la vita, e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10,10). In altri termini, la ricerca della luce scaturisce dalla contemplazione della vita, perché la vita stessa è una grande parabola tessuta di luci e di ombre perché intrisa di Dio. Per questo il vangelo ci educa a guardare la vita con lo sguardo di Dio per scorgere persino nel fango il riflesso del cielo, ed intuire la presenza del Regno in ogni germoglio ancora nascosto. Cercare la luce è dunque amare la vita con la stessa passione di Dio, la vita reale, concreta con i suoi uragani e le sue bufere, ma anche con il suo sole e le sue ricchezze.

Coloro che abbracciano questa prospettiva e si fidano di Dio (v. 12) entrano in un cammino di ve­rità: a loro è donato di ‘divenire’ figli di Dio e di appartenere alla comunità divina. Il vangelo ci assicura, allora, che non siamo inadeguati o sbagliati perché Dio crede in noi: «Dio viene nel mondo come figlio per renderci figli. Oggi Dio ci meraviglia. Dice a ciascuno di noi: tu sei una meraviglia» (papa Francesco).

Scaturisce da questa certezza la nostra missione: spingere l’altro alla vita, seminare luce e costruire comunione sempre, ovunque e a qualunque prezzo… proprio come fa Dio. Chiediamoci allora: il contatto con noi genera vita, contamina con la speranza? Chi ci incontra riparte con il desiderio di una vita piena e la certezza di un luogo dove incontrarla?