Guarite i malati, mondate i lebbrosi

XV domenica t.o.  Am 7,12-15; Ef 1,3-14; Mc 6,7-13

Gli apostoli sono mandati; non hanno nulla, salvo l’essenziale: il potere sugli spiriti maligni e la “forza” per guarire i malati. Vanno due a due perché sono fratelli e perché la testimonianza è valida quando si mostra nell’unità. Le informazioni sul loro viaggio si limitano al comando di non prendere nulla per la strada. Devono rimanere nella povertà, nella condizione della nostra vita, lasciando nei luoghi non accoglienti persino la polvere dei sandali. Come pellegrini, gente di passaggio, che lasciano parole e gesti di pace.Poco prima, a Nazaret, Gesù era stato rifiutato dai suoi compaesani al punto che non vi fece alcun miracolo, salvo la guarigione di pochi malati, impressionato dalla loro incredulità. Gesù non vuole evitare ai dodici lo scandalo da lui subito nella sua città. Tutt’altro; lo scandalo diventa quasi la norma, capace di mostrare – ogni volta – la sproporzione tra lo strumento e l’effetto, tra la povertà dei testimoni e la potenza di Dio, assolutamente diversa da ogni potere umano. La fede è intrecciata alla povertà perché è consegna totale alla volontà del Padre. La missione impossibile affidata agli Apostoli e a ogni discepolo del Regno è innanzitutto testimonianza della propria vita personale, vissuta in fraternità e unità. Apostolo significa proprio “mandato, inviato”. I dodici lo saranno, propriamente, dopo la resurrezione e la pentecoste; ora sono in tirocinio; imparano a fianco del Maestro. Prima di essere capaci della potenza che guarisce, risana, libera e scaccia il male, dovranno accettare di essere respinti e perseguitati. Lo saranno, ma continueranno a parlare a nome di Gesù, senza essere preoccupati di avere trionfo. Il successo lo lasciano a Dio.