«Questo è il figlio mio, l’eletto: ascoltatelo!» (Lc 9,35)

La seconda domenica di quaresima ci invita a seguire Gesù sul monte Tabor, dove tre discepoli assistono stupiti alla sua trasfigurazione e al dialogo con Mosè ed Elia.È un’esperienza forte, di crescita nella fede, perché i discepoli possano ascoltare, aderire al Figlio e seguirlo fino al Calvario. Anche se illuminato dalla gloria della resurrezione, infatti, questo episodio è segnato da costanti riferimenti alla passione: il legame temporale con il primo annuncio del destino di Gesù (9,22); la rivelazione di un “esodo” da compiere in Gerusalemme; la scelta di tre testimoni – Pietro, Giacomo e Giovanni – i soli che il Cristo vorrà accanto a sé nell’orto degli ulivi, nel Getsemani (22,42).

Luca tace a riguardo dei sentimenti di Gesù, ma possiamo contemplare la trasfigurazione come il momento in cui il rapporto tra il Figlio e il Padre diviene così intenso da non essere più contenibile. Soltanto Luca rivela il contenuto del dialogo con Mosè ed Elia: «parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme» (v. 31). Con questo riferimento alla storia sacra, Luca presenta alla sua comunità la morte di Gesù come il compimento di ogni promessa di Dio. Il dialogo iniziato nei tempi antichi attraverso Mosè e riacceso nei momenti di stanchezza e di disperazione dai profeti, diventa ora permanente nell’offerta del Figlio.

Questa atmosfera intensa è interrotta dalle parole di Pietro, giudicate in maniera negativa dall’evangelista: «Egli non sapeva quello che diceva» (v. 33). Il discepolo vuole, infatti, catturare il mistero, fermare il Cristo ed impedirgli di camminare verso la croce. Per questa ragione non trova risposta o, meglio, riceve una risposta imprevedibile nel segno della nube che li avvolge. È segno della presenza di Dio, una presenza che manifesta e nasconde; il Padre li raggiunge dove sono, nella loro non-comprensione, e li invita ad aprirsi al mistero.

La Voce riprende la rivelazione del battesimo: «Questi è il Figlio mio, l’eletto», aggiungendo un appello: «Ascoltatelo». Al Giordano, queste parole non erano, tuttavia, dirette ai presenti ma soltanto a Gesù: «Tu sei il Figlio mio, l’eletto, l’amato, in cui mi sono compiaciuto» (3,22). Sul monte, il Padre rivela ai discepoli l’identità di Gesù – il Figlio – e come vivere il rapporto con Lui: «Ascoltatelo!». Con queste parole, sconvolge la logica di Pietro e di ogni discepolo: propone il Figlio non come un mistero da conservare, ma come una persona da seguire.

Il brano termina con uno strano invito al silenzio che si protrae fino alla croce. Non si può comprendere il Cristo senza averlo contemplato sul Calvario. Senza la croce egli sarebbe un Messia potente, politico, il Messia dei miracoli… ma non sarebbe il Figlio che “mangia” la volontà del Padre e che si abbandona a Lui anche nella prova (Lc 4,1-13). La croce svela, infatti, il volto di Dio: un Dio che sta dalla parte delle vittime, non dei carnefici; un Dio che vuole spezzare la catena di violenza che imprigiona la storia con il perdono.

Lo stesso Dio che si era legato ad Abramo e della sua discendenza con un giuramento eterno, che aveva promesso di stare dalla parte delle sue creature persino quando le tenebre minacciose le avvolgono e gli uccelli rapaci volteggiano nel cielo (Gn 15,11-12), ora si avvia verso Gerusalemme per proclamare sulla croce il sì definitivo di Dio all’umanità.

Chiediamoci: come rispondo all’invito del Padre? Che spazio ha l’ascolto della Parola nelle mie giornate?