Questi ragazzi ci stanno insegnando che o ci si prende per mano, o non ce la si fa

Come sarebbe bello poter dire ai nostri ragazzi che la loro vita sarà un viaggio su una carrozza tirata da due cavalli che sanno sbattere gli zoccoli sulla pietra trovando un ritmo preciso e rassicurante (nella Cracovia antica, succede davvero…)! Invece no. Ci tocca dire loro anche della fatica quotidiana di doversi conquistare la vita, di doversi guadagnare il pane e le cose che servono

“Ricoverare l’altro dentro di me”: da questa felice espressione del teologo Sequeri, i ragazzi oggi sono partiti per vivere il tempo della catechesi con i vescovi italiani. Dopo il pellegrinaggio di ieri al Santuario della Divina Misericordia, oggi provano a riflettere su cosa possa significare diventare persone misericordiose.È – forse – il passaggio più difficile e decisivo di questa Gmg. Perché fare i conti con la misericordia significa soprattutto mettere in conto delle fragilità da riconoscere, da accogliere, da non mettere immediatamente sotto la lente d’ingrandimento dei nostri (pre)giudizi. Capita (purtroppo) spesso che anche tra i cristiani il metro di giudizio sia sempre in mano a coloro che si sentono al riparo da ogni errore; da quelli che ritengono di aver fatto la scelta migliore senza ammettere travagli, ricerche, domande, dubbi e cammini di conversione. O sei cristiano, oppure no.

Sentiamo tutti il bisogno di una Chiesa diversa; verrebbe da dire che Papa Francesco ha esplicitato un bisogno emerso come un fiume carsico nella vita dei cristiani di oggi. Eppure, quando arriva il momento, le resistenze sono ancora molte.

Questi ragazzi ci stanno insegnando che o ci si prende per mano, o non ce la si fa.A questo proposito vale la pena aggiungere una considerazione sulla fatica di questi giorni. Come ogni Gmg, i primi giorni in una città lontana da casa sono faticosi. Bisogna orientarsi e per poterlo fare è necessario spendere del tempo: guardarsi in giro, leggere mappe, capire tempi e distanze. Martedì e ieri non sono state poche le difficoltà che i ragazzi hanno dovuto affrontare: lunghe camminate, poche ore di sonno e cibo non certo di prima qualità. Ma anche questo fa parte della condizione di essere pellegrini: ogni cammino prevedere la fatica e lo sforzo di adattarsi. Mi piace chiamarla “pedagogia dell’emergenza”: in questa fatica (per noi ancora più improba perché stiamo abituando i nostri piccoli ad avere tutto e subito), c’è la possibilità di crescere, di diventare grandi perché capaci di affrontare anche le fatiche. Come sarebbe bello poter dire ai nostri ragazzi che la loro vita sarà un viaggio su una carrozza tirata da due cavalli che sanno sbattere gli zoccoli sulla pietra trovando un ritmo preciso e rassicurante (nella Cracovia antica, succede davvero…)!Invece no.

Ci tocca dire loro anche della fatica quotidiana di doversi conquistare la vita, di doversi guadagnare il pane e le cose che servono.

E poi, a dirla tutta, qui sento solo gli adulti che si lamentano, magari con la scusa di ergersi a paladini del benessere dei ragazzi. Ma loro no: un colpo di chitarra, un canto e pronti si rialzano verso la nuova destinazione.La fatica quotidiana sta diventando una bella metafora: misericordia è esercizio quotidiano di un cuore da educare…