Un’oasi di pace in mezzo al verde

La seconda puntata di questa rubrica sulla storia dei Giardini Vaticani abbraccia il periodo storico che va dal trecento fino alla fine del cinquecento.

Nel settantennio noto come “cattività avignonese” (1309-1377), contraddistinto dall’attaccamento alla ricchezza e dalla mondanizzazione dell’istituto ecclesiastico, i Giardini del Vaticano furono parzialmente lasciati in stato di abbandono, per via del trasferimento della Sede Apostolica ad Avignone. I pontefici curarono ugualmente delle aree verdi, integrandole nella loro nuova residenza francese e adornandoli con vari tipi di piante e arbusti. Benedetto XII (1334-1342) eresse il nuovo palazzo apostolico (Palazzo Vecchio) nel quale sorse l’Ortus Vetus (letteralmente “spazio chiuso”), dotato di un pozzo circondato da erba e di uno spazio verdeggiante, in cui vennero piantati cavoli bianchi, verdi, spinaci, porri, fagioli, melanzane, bietole, erbe profumate e altre sostanze che allettavano il palato del santo padre. Clemente VI (1342-1352) estese le dimensioni della preesistente sede papale andando a costituire il Palazzo Nuovo(Opus Novum), nel quale vide la luce il Viridario Novus. Questo nuovo giardino fu creato in direzione della torre di Trouillas, che svettava sull’immensa residenza, era circondato da mura fortificate e comprendeva un ricovero e una sala relax, collegata ai bagni turchi da un portico in gesso e legno. Era molto ombreggiato e interamente disseminato di prati, con un’enorme fontana al centro realizzata in pietra bianca di Orgone, alimentata da un pozzo che serviva anche i forni adiacenti. Urbano V (1362-1370), succeduto a Innocenzo VI (1352-1362), ordinò costosi lavori che portarono alla nascita dell’Orto Urbano V, sito sul lato orientale della residenza papale. Il pontefice adorava le superfici verdi che riservava per il suo godimento personale. Fece scavare un nuovo pozzo dove vi installò dei pergolati e fabbricò una lunga galleria ad un piano (la Roma), decorata con pavimenti in cotto con motivi che rievocavano la vita di San benedetto da Matteo Giovanetti, distrutta poi nel 1835. Il papa completò anche il cortile principale (Court d’Honneur) con altri stabili che lo racchiusero. Con il ritorno della sede pontificia a Roma nel 1378, per volontà di Gregorio XI (1370-1378), la residenza apostolica venne ufficialmente spostata in Vaticano. Da quel momento in poi si provvide al ripristino dei Giardini, che si svilupparono ancora di più divenendo un elemento fondamentale dell’architettura della Santa Sede, oltre a fungere da luoghi di rappresentanza per le cerimonie ufficiali e da punti di riposo. Niccolò V Parentucelli (1447-1455), alla fine del quattrocento, rafforzò le mura leonine con una serie di torri, e realizzò nuove porte. Pio II (1458-1464) ebbe molta attenzione per i paesaggi e la natura, forte anche della sua formazione umanistica, ma un radicale rinnovamento si percepì alla fine del Medioevo durante il pontificato di Innocenzo VIII (1484-1492). Papa Cybo fece costruire il Palazzetto o Casino del Belvedere sulle alture di Monte Sant’Egidio, adornandolo con cipressi e alberi di aranci, corredandolo di una fontana per il soggiorno estivo dei papi e abbellendolo con dipinti, realizzati da maestri come Mantegna e Pinturicchio. Fu innalzato un fantastico porticato-belvedere, nel quale vennero ricavati una cappella e alcuni ambienti, e fu aggiunta anche un’ala ad est. Questa maestosa architettura fungeva anche da spazio per lo svolgimento di spettacoli e feste. Giulio II (1503-1513) mise mano a questo palazzetto quattrocentesco, conferendogli la funzione di museo. Nacque il “Cortile del Belvedere” il cui scopo era quello di collegare la residenza pontificia alla villa di Innocenzo III, detta appunto “Casino del Belvedere”, distante e separata da un terreno in pendio. I lavori di costruzione di questo giardino, chiuso sui lati, furono affidati al Bramante, il quale ricorse alla prospettiva per progettare uno spazio stretto e lungo diviso in tre livelli, collegati fra loro da scalinate, con una zona inferiore adibita ad anfiteatro e una terrazza intermedia che fungeva da collegamento col cortile superiore, terminante con un’esedra in seguito sostituita da un nicchione scenografico. Il Palazzo del Vaticano fu ampliato verso nord, venne inserito, davanti alla villa, un giardino-antiquarium e furono aggiunti dei giardini terrazzati e delle fontane. Con Clemente VII (1523-1534), nipote di Lorenzo il Magnifico, un rinnovato interesse pervase la residenza vaticana e, in particolare, i Giardini. Il papa ordinò la fondazione di una nuova area verde, distinta e separata dal Belvedere ma ad esso connessa, impostata sulla medesima esigenza di fornire una vista spettacolare sulla campagna circostante e, specialmente, sulla collina di Monte Mario dove campeggiava, benché incompiuta, la dimora di famiglia, Villa Madama. Raffaello fu chiamato a predisporre questo giardino, che rimase comunque un luogo segreto cinto da muri, caratterizzato da un lungo viale centrale alberato, fiancheggiato da allineamenti di aiuole geometriche delimitate da basse siepe, forse di bosso. Fu concepito per permettere al papa di godere di una piacevole passeggiata, ammirando il panorama spettacolare ma in modo più appartato rispetto al Belvedere. Nulla resta oggi di questo punto verde, il cui sito è oggi occupato da altre costruzioni. Resta sola la Fontana della Zitella, su cui poggia una statua romana di una donna assisa, identificata con Lucrezia detta “la Zitella”. Paolo III Farnese (1534-1549), amante delle arti, mise mano all’opera bramantesca per la sistemazione del Cortile del Belvedere, rimasta incompiuta a causa della fretta di terminare imposta da Giulio II. Si dedicò all’abbellimento del Cortile delle Statue creato da Bramante aggiungendo nuove sculture, come la Venere donata dal Governatore di Roma, decorando le nicchie dove erano alloggiati l’Apollo e il Laoconte, e prendendosi cura delle piante di gelsomino e delle aiuole. Il Cortile delle Statue divenne così il luogo di rappresentanza per eccellenza, un simbolo di arte e sensibilità. Farnese creò ex novo un Giardino Segreto di ampie dimensioni, il più importante di Roma, circondato sui quattro lati da alti muri, nei quali si aprivano diverse porte. Isolato sulla collina e inaccessibile al pubblico, fu opera dell’architetto ferrarese Jacopo Meleghino che l’arricchì piantandovi agrumi e alberi di frutta, e garantendo la fornitura di acqua. Giulio III del Monte (1550-1555) lasciò una testimonianza di altissimo livello con la fondazione di Villa Giulia, a cui contribuirono maestri del calibro di Michelangelo, Vasari e Zuccari. Il grandioso complesso comprendeva architetture rivoluzionarie, fontane e favolosi giardini con tante sculture. Il pontefice lo scelse come sua dimora personale, come centro delle sue passioni e dei suoi interessi privati, lontano dai Palazzi Vaticani e, addirittura, oltre il Tevere. Gli interventi sui Giardini Vaticani si limitarono alla manutenzione, alla cura dei condotti delle acque e alle opere quotidiane dei giardinieri. Venne eretto un orto pensile di forma rettangolare, lungo e stretto, situato su un terrazzamento a ridosso delle Logge, sostenuto dalle mura cittadine e organizzato in aiuole geometriche, suddivise in riquadri minori con spalliere di alberi. Fu fabbricata anche una peschiera, una grande fontana con una grotta rustica e una sottostante ampia vasca. In continuità con la gestione dei giardini da parte di Paolo III, Giulio III nominò come curatore Scipione Perotto o Perotti e perpetrò la consuetudine di distillare i petali dei fiori e le piante officiali, per farne acque profumate destinate, forse, alla vendita. Paolo IV (1555-1559) riprese, invece, la tradizione dell’abbellimento dei Giardini Vaticani, incaricando Pirro Ligorio di occuparsi della fabbricazione della Casina, un vero e proprio esempio di manierismo. Iniziò così il periodo d’oro dei Giardini all’interno dei quali i Vicari di Cristo sistemarono, come un museo all’aperto, le prime statue classiche emerse grazie alla ricerca archeologica. Pio IV Medici (1559-1565) ampliò e completò le mura intorno al colle vaticano, ricongiungendo le stesse in maniera più avanzata a Castel Sant’Angelo. Portò a termine, nel 1561, la Casina, il gioiello dei Giardini Vaticani, che prese il suo nome (Casina Pio IV), contraddistinguendosi per la ricchezza e la magnificenza dell’apparato decorativo, per il grande cortile ellittico centrale, per la forte presenza di acqua e di sculture evocanti atmosfere agresti (Pan e Ciparisso), oltre ad essere punto di ristoro privato del pontefice e dei suoi più stretti collaboratori. Pio V (1566-1572), in seno alla cultura controriformista, eliminò tutti i riferimenti pagani dalla Casina e fu particolarmente legato alla botanica e alla cura dei giardini, considerati un “onesto piacere” per gli ecclesiastici. Il papa sistemò lo spazio antistante la Casina, destinandolo alla coltivazione di piante semplici ma anche di piante rare, esotiche e terapeutiche. Nacque così il “Giardino dei semplici”, suddiviso in una serie di aiuole rettangolari disposte su più filari, con viali a raggiera e siepi di bosso. Divenne luogo privilegiato per lo studio scientifico di piante e fiori, nonché sede per le ricerche e le sperimentazioni della cattedra di botanica istituita alla Sapienza.

I successori di Pio V, Gregorio XIII (1572-1585), Sisto V (1585-1590), Urbano VII (1590), Gregorio XIV (1590-1591), Innocenzo IX (1591) e Clemente VIII (1592-1605) non si occuparono in maniera attiva dei Giardini Vaticani, preferendo trasferirsi in ville suburbane.