Luigi Gonzaga il martire della carità

Libertà, ardore cristiano e amore per il prossimo contraddistinguono la vita di questo Figlio di Dio

San Luigi Gonzaga, nato il 9 marzo 1568 da Ferrante Gonzaga, primo marchese di Castiglione delle Stiviere (Mantova), e da Donna Marta Tana, una contessa piemontese, è considerato un campione di carità e di penitenza. La madre lo educa ai principi della religione cattolica influenzando molto le scelte future. Il fanciullo è il primo di otto figli e a lui spetta la corona del marchesato. Il padre gli impartisce un’istruzione militare sin dall’età di 5 anni, portandolo con sé sui campi di battaglia. Luigi ostenta subito un carattere forte e un’intelligenza brillante e aperta fuori dal normale. Già da bambino sente di dover intraprendere una strada diversa rispetto a quella indicatagli dalla sua nobile famiglia. Cresce pian piano in lui il desiderio della preghiera, della meditazione, del silenzio, dello scavo interiore e della ricerca di Dio, contestualmente all’insofferenza per il mondo dei ricchi, frivolo e spiritualmente vuoto. Al suo parentado che lo prende in giro gli risponde “Cerco la salvezza, cercatela anche voi! Non si può servire a due padroni… È troppo difficile salvarsi per un signore di Stato”!. Luigi si propone allora di seguire Cristo e di dedicarsi ai poveri e alla penitenza, confidando questa sua intenzione alla madre. A sette anni pronuncia, nella Chiesa dell’Annunziata a Firenze, il suo voto di castità, offrendosi a Dio e consacrandosi a Maria. Riceve a dodici anni la prima comunione da San Carlo Borromeo, in visita alla diocesi di Brescia, e viene mandato dal padre a Firenze, non solo per sottrarlo al rischio di contagio dovuto ad una pestilenza scoppiata a Mantova e a Castiglione delle Stiviere, ma anche per formarlo alla raffinata corte dei Medici, in quel periodo retta da Francesco I, con la speranza che possa incontrare qualche donna che lo distragga da questa sua ossessione per la religione. Il giovane continua a nutrire la sua fede in Dio, anche con la lettura delle opere dei padri gesuiti e delle meditazioni di padre Canisio. L’esperienza interiore che sta vivendo emerge come un fiume carsico, che inonda tutta la sua esistenza e lo porta presto a fare il discernimento in piena libertà, optando per la vita religiosa. Raggiunge la Spagna dove diventa paggio dei figli di Filippo II, in modo particolare di un nipote, Diego, appartenente alla famiglia reale. A 17 anni, nel 1587, contro il volere del padre, riesce ad entrare nella Compagnia di Gesù, rinunciando al diritto di primogenitura del suo casato reale. Sceglie questo movimento perché è nato da poco, si distingue per la sua freschezza, per la radicalità e per la passione con cui vive la sua missione. Seguendo i gesuiti ha certezza che l’ombra delle sue origini nobiliari sarà solo un lontano ricordo, visto che quest’ordine non ammette cariche aristocratiche ed educa ad una vita semplice. In più il ragazzo apprezza non solo la dedizione della Compagnia di Gesù per i giovani, dei quali cura l’istruzione, ma anche la vocazione missionaria come mezzo per infrangere le porte chiuse di una Chiesa che, in quel periodo storico, è ripiegata su se stessa ed è chiusa. Il padre di Luigi si arrende alla decisione presa dal figlio, quando si rende conto della totale dedizione di quest’ultimo a Dio, a cui si rivolge in preghiera con le lacrime agli occhi. Tra i gesuiti si contraddistingue per la sua innocenza, per la sua purezza e per la sua penitenza non comuni, soprattutto la penitenza, se leggiamo nella sua biografia traccia delle privazioni di cibo e di sonno, o dei molti momenti in cui si trattiene e si irrigidisce in una posizione scomoda, soffrendo di terribili emicranie. La sua profonda spiritualità emerge attraverso vari segni, come la lunga preparazione a cui si sottopone per comunicarsi con Dio, e l’altrettanto lungo periodo di ringraziamento che rivolge sempre al Padre. Tra i gesuiti resta poco, studia teologia ma non fa in tempo a prendere i voti. Trascorre vari anni a Napoli e a Milano per poi tornare a casa, per cercare di mettere pace tra i parenti in lite per la spartizione dei beni materiali. Riceve in seguito gli ordini minori ma non viene ancora ordinato né diacono né sacerdote. Il suo è stato il “martirio della carità”  vissuto nella completa donazione di sé per il prossimo. In una lettera alla madre del 10 giugno 1591 scrive che “la carità consiste, come dice San Paolo, nel “rallegrarsi con quelli che sono nella gioia e nel piangere con quelli che sono nel pianto”. Alla fine del XVI secolo una grave pestilenza colpisce Roma. I gesuiti vanno in aiuto degli appestati e Luigi si mette a disposizione insieme a San Camillo De Lellis. Sfida la sorte, pur avendo una salute cagionevole, spendendosi per chi è ammalato che, secondo lui, è “l’alter Christi”. Perde la vita a Roma a 23 anni il 21 giugno 1591, dopo aver soccorso un appestato, mantenendosi sempre fedele al suo motto “Come gli altri”. Libertà, passione e carità sono gli assi nella manica di quest’uomo di Dio. L’insegnamento che lascia a tutti e, in particolare, ai giovani è il richiamo alla santità che è la “pienezza dei rapporti con Dio”. Papa Benedetto XIII lo canonizza il 31 dicembre 1726. Pio XI lo designa patrono della gioventù cattolica nel 1926. Nella lettera apostolica “Singulare Illud” del 1926, Papa Ratti loda la predilezione che Luigi Gonzaga ha avuto in vita per i giovani. Egli seppe comunicare ai ragazzi il bisogno di cercare modelli di vita positivi da imitare, indicando la strada per la santità. “Gonzaga insegna ai giovani che la sostanza dell’educazione cristiana ha per fondamento lo spirito di viva fede, dalla quale gli uomini, rischiarati come “da lucerna che splende in luogo caliginoso”, vengano a conoscere pienamente la natura e l’importanza della vita mortale” si legge nel documento. Giovanni Paolo II lo consacra patrono dei malati di Aids nel 1991. Wojtyla, nella sua preghiera a San Luigi Gonzaga, si rivolge al santo chiedendogli di “non permettere che i giovani cadano vittime dell’odio e della violenza”, e che li aiuti a liberarsi da ogni sentimento torbido, difendendoli dall’egoismo, salvandoli dalle lusinghe del maligno e rendendoli “testimoni della purezza del cuore”.