Chiesa
Salvarani: per una Chiesa attrattiva e sinodale

Il volume “Senza Chiesa e senza Dio” del saggista e teologo Brunetto Salvarani verrà presentato il 25 febbraio in un incontro organizzato dall’ufficio per l’Ecumenismo e dall’Issr. Lo abbiamo intervistato
Organizzato dall’Ufficio per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della diocesi insieme all’ISSR “San Francesco di Sales” di Rende, il prossimo 25 febbraio, alle ore 16, nell’Aula Magna dell’Istituto a Rende, si terrà l’incontro di presentazio-
ne del volume “Senza Chiesa e senza Dio. Presente e futuro dell’Occidente post-cristiano”, di Brunetto Salvarani, teologo e saggista italiano. In preparazione all’incontro lo abbiamo
intervistato.
La società cristiana evidentemente non esiste più. Eppure il cristianesimo si presenta come religione/fede con uno spazio pubblico. Come diventare nuovamente attrattivi?
Come ripete papa Francesco, non stiamo vivendo solo un’epoca di grandi cambiamenti, ma un cambiamento d’epoca. Ciò coinvolge anche il cristianesimo che, in Europa e in Occidente, sta attraversando una stagione di crisi: la questione che rende il quadro davvero problematico è la fatica della trasmissione della fede da una generazione all’altra. Si badi, però: la crisi non è tanto una questione di numeri. Molti giovani sono indifferenti a Dio e pensano che la Chiesa non abbia niente di interessante da comunicare. Il problema è che i giovani hanno bisogno di testimonianze autentiche, di adulti coerenti con quanto professano, di esperienze appassionanti che facciano cogliere la bellezza profonda dell’appartenenza a Cristo. Purtroppo, invece, i giovani spesso non incontrano testimonianze persuasive. In ogni caso, per tornare attrattivi non si danno ricette sicure, naturalmente. C’è da rimboccarsi le maniche ma ancor più il pensiero, perché da tempo, come Chiesa, mi pare abbiamo smesso di pensare! Ma la partita è tutt’altro che chiusa! La posta in gioco, è davvero alta (il che vale anche, ovvio, per l’odierno Cammino Sinodale).
È possibile a suo avviso per l’occidente ritrovare la sua radice cristiana guardando alle terre più lontane, dove invece cristianesimo e vocazioni fioriscono?
E’ vero: “Anche se in Europa assistiamo a un certo affanno delle nostre chiese – scrive il teologo Geffré – dobbiamo prendere le distanze da questo continente e contemplare il mondo dall’alto”; e quando ci lamentiamo che le nostre chiese stanno diventando deserte, non possiamo dimenticare la vitalità demografica e spirituale delle giovani chiese del cosiddetto Terzo Mondo. Ma già il Vaticano II aveva preso atto della cattolicità della Chiesa, della sua universalità. In un’ottica globale non c’è motivo per guardare con scetticismo alle possibilità di sopravvivenza del cristianesimo. La situazione sembra questa: quella che stiamo vivendo oggi è una delle fasi più intense di diffusione del cristianesimo che si siano mai registrate nella storia, sviluppi che avranno molteplici conseguenze per i cristiani in Europa. Probabilmente, per quel che riguarda la chiesa cattolica, siamo alla vigilia di uno spostamento notevole delle forze: ascoltare maggiormente le chiese del Sud del mondo ci può senz’altro aiutare.
A suo parere, occorre ripensare il linguaggio teologico o la predicazione?
Entrambi, a partire da un dato: in realtà, nonostante tutto, l’abbandono delle pratiche e la diminuzione del senso di Dio non stanno causando la scomparsa dei bisogni di senso, della consolazione e della ritualizzazione che costituivano il fondamento dell’antica domanda religiosa, anche se tali elementi si sono trasformati e sono reinvestiti altrove. Occorre prenderne atto, come fa don Giuliano Zanchi scrivendo da Bergamo, centro italiano della pandemia: “Mai come in questi momenti si può avere consapevolezza di quanto le nostre parole religiose siano consumate, estenuate dall’abuso, depotenziate dal controllo: esse ora scivolano sulla realtà, come acqua su tela cerata. Non ce ne siamo presi cura che per blindare la loro immutabilità. Ora non abbiamo che fossili verbali utili solo alla stratigrafia di un mondo scomparso”. Di fronte a tali scenari, dopo duemila anni, mi pare evidente che il cristianesimo sia convocato a radicarsi di nuovo nell’esigente logica della parola evangelica. Investire in formazione è l’unico modo possibile per preparare il futuro. E la formazione richiede inventiva, risorse economiche e mentali, lungimiranza, e la pazienza dei passi brevi nella coscienza dei tempi lunghi. Qui siamo, con le macerie del cristianesimo di ieri ancora fumanti. Ma non servono posture passatiste. E non serve a nulla rimpiangere le cipolle egiziane (Nm 11,5)…
In una Chiesa italiana stanca, in affanno con le nuove generazioni e smarrita nello stare dentro una società plurale, quali sono i motivi di speranza, tema dell’attuale Giubileo?
In primo luogo dovremmo custodire con attenzione il messaggio biblico sulla speranza, la virtù bambina (C. Peguy) che non delude, come ricorda Paolo ai Romani (5,5), “perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato”. Anche perché la vera speranza non ha nulla a che fare con il banale ottimismo! Ecco un esempio biblico: per difendere le ragioni di una reale speranza, il profeta Geremia – pagando prezzi umanamente altissimi – accettò di subire le aperte persecuzioni di quanti esortavano il suo popolo a non avere paura, “perché andrà tutto bene”. La speranza cristiana, sempre, ma ancor più oggi, non richiede tanto dosi di ottimismo, quanto iniezioni di coraggio. La speranza è la corda che ci lega indissolubilmente a ciò che siamo stati e a ciò che saremo. È l’altrove su cui poggia il nostro essere qui nel nostro oggi ed è, al contempo, ciò che ci tiene uniti l’uno all’altro perché ci consente – almeno potenzialmente – di radunarci e di fondarci come comunità, come popolo, come umanità. Come fratelli (e sorelle) tutti. E abbisogna di coraggio perché per accedere alla speranza autentica è necessario rinunciare alle illusioni e alle false speranze. In una prospettiva cristiana, cioè umana, siamo chiamati a sperare in chiave collettiva, comunitaria, plurale. Ha ragione il teologo von Balthasar, secondo il quale il cristiano non può che sperare per tutti!
L’intervista è stata pubblicata sul numero di Parola di Vita del 19 febbraio
