Chiesa
Santa Giuseppina Bakhita, dalla schiavitù alla santità

“Ambasciatori di speranza: insieme contro la tratta di persone“, il tema della Giornata Mondiale di Preghiera e Riflessione contro la Tratta di Persone di quest’anno
Oggi, 8 febbraio 2025, ricorre l’XI edizione della Giornata Mondiale di Preghiera e Riflessione contro la Tratta di Persone. È un’occasione unica per pregare e approfondire i temi relativi alla tratta e alla schiavitù moderna. Il tema scelto quest’anno è Ambasciatori di speranza: insieme contro la tratta di persone, in linea con il Giubileo che invita a non disperdere mai la speranza e a lottare a favore della vita. L’8 febbraio è altrettanto importante perché, in questa data, la Chiesa cattolica fa memoria della morte di Santa Giuseppina Bakhita, la “Santa sorella Morena” protettrice degli schiavi, canonizzata da Giovanni Paolo II nel 2000, additata come “esempio di speranza cristiana” nell’Enciclica Spe salvi da Benedetto XVI e definita da Papa Francesco “testimone della forza trasformatrice del perdono di Cristo”. Questa ragazzina negra nacque nel 1869 in un villaggio del Darfur, nel Sud Sudan. Venne rapita all’età di sette anni da mercanti arabi di schiavi, divenendo merce umana e passando di mano in mano nei mercati di El Obeid e Khartoum. A causa del trauma subito dimenticò il proprio nome e quello dei suoi familiari. I suoi rapitori la chiamarono “Bakhita” che vuol dire “fortunata”. La piccola provò l’atroce sofferenza fisica, mentale e morale di chi vive in condizione di schiavitù, venendo sottomessa, umiliata, sbeffeggiata e ferita. Venne comprata nella capitale del Sudan da un console italiano, Callisto Legnani, che la portò in Italia e la consegnò ad un amico veneziano, Augusto Michieli, che ebbe compassione di lei. A Venezia ricevette un’educazione religiosa, frequentando l’istituto dei Catecumeni gestito dalle Suore Canossiane. Aveva ventuno anni quando, nel 1890, venne battezzata e ricevette la Cresima e la Prima Comunione dal Patriarca di Venezia, card. Domenico Agostini, decidendo subito dopo di non tornare più dai suoi datori di lavoro ma di intraprendere il cammino che l’avrebbe portata a servire Dio, unendosi all’ordine delle Figlie della Carità. Fu consacrata suora nel 1896 e trascorse tutta la vita a Schio, venendo amata dalle sue consorelle che la chiamavano “Suor Morena”. Ben presto la sua semplicità e la sua fama di santità si diffusero in tutta Italia e in tanti cercarono di conoscerla. Iniziò a girovagare per il paese, tenendo conferenze di propaganda missionaria. Dal 1939 iniziò ad avere seri problemi di salute e non lasciò più Schio, dove morì per una polmonite l’8 febbraio 1947. Questa “morèta”, “moretta” o “suora di cioccolata”, come la chiamavano i ragazzini, ebbe veramente una vita “fortunata” come disse proprio lei: “Se incontrassi quei negrieri che mi hanno rapita e anche quelli che mi hanno torturata, mi inginocchierei a baciare loro le mani, perché se non fosse accaduto ciò, non sarei ora cristiana e religiosa”. L’Unità Pastorale di San Pietro-Santa Lucia di Rogliano ha dedicato tre giorni di preghiera alla memoria di Bakhita. Oggi sarà celebrata una messa solenne presso l’Istituto delle Madri Canossiane della cittadina del Savuto, che vanta una lunga tradizione legata alla storia delle Figlie della Carità di Santa Maddalena di Canossa.