Scoperti nuovi dettagli su un’opera di Caravaggio

La tecnica di imaging Macro X-ray Fluorescence ha permesso di leggere quanto nascosto sotto la pellicola pittorica del Martirio di sant’Orsola

È stata ufficialmente inaugurata la mostra Caravaggio 2025 a Palazzo Barberini a Roma. Quest’evento, tra i più attesi tra quelli in programma nel calendario del Giubileo della Speranza, è reso ancora più spettacolare per via di una recente scoperta, riguardante una delle opere esposte. Ci riferiamo al Martirio di sant’Orsola (1609-10), realizzato da Caravaggio verso gli ultimi anni della sua vita a Napoli, dove ricevette protezione dai Colonna in seguito ad alcuni problemi con la giustizia. Violento, assassino e geniale protagonista di un’esistenza tormentata, spesa tra il lusso e la raffinatissima cultura dei palazzi romani degli inizi del seicento e il degrado delle strade, avvezzo al realismo drammatico, amante della verità, del naturalismo e della rappresentazione dei corpi voluminosi, con un attento gioco di luci e di ombre, Merisi dipinge Il Martirio di sant’Orsola per il banchiere genovese Marcantonio Doria, la cui famiglia aveva per protettrice proprio questa santa. Il quadro raffigura il momento angoscioso in cui la santa, rifiutandosi di concedersi all’unno Attila, viene trafitta da quest’ultimo con una freccia. La scena, ambientata nella tenda del condottiero barbaro, è caratterizzata da una prevalenza delle ombre sulle luci, forse specchio del travaglio interiore vissuto dal pittore in prossimità della sua morte. Le figure presenti (Attila vestito in abiti seicenteschi, tre soldati e la donna) emergono dallo sfondo brunito, percettibile grazie a una sottile variazione di tono, costruite per lunghi tocchi di luce e colore. La donna è più illuminata degli altri personaggi e sembra accettare il suo tragico destino, portandosi le mani alla ferita e abbassando la testa. I tre barbari, giunti a soccorrerla, non accettano quel gesto compiuto dal loro capo, il quale sembra pentito e cerca di allentare la presa sull’arco, restando a bocca aperta e contraendo il suo volto in una smorfia. Orsola e Attila sono gli unici due a essere evidenziati con tonalità rosse, in un ampio spettro che va dal bianco, al bruno, all’ocra scuro fino al nero. L’opera, conservata presso le Gallerie di Palazzo Piacentini a Napoli, sede di Intesa Sanpaolo, è stata sottoposta all’ennesimo intervento di restauro, prima di essere trasportata a Roma per la mostra, visitabile fino al 6 luglio. Le esperte Laura Cibrario e Fabiola Jatta hanno ripulito la tela, riportando alla luce tre dettagli interessanti prima sconosciuti: l’intero perimetro dell’elmo e la punta del naso di un soldato, situato a destra di Attila, alcuni particolari delle figura di un pellegrino con un cappello e, sopra la testa di sant’Orsola, un elmo con un fessura per gli occhi, forse di un armigero, con tanto di bocca, baffi e mento. Sono state rinvenute anche le maglie della cotta metallica di Attila e la corda dell’arco che impugna. Il dipinto è stato poi incastonato in una nuova cornice secentesca, integrata con il climaframe che ne assicura la conservazione ottimale nel tempo. “La responsabilità di avere in collezione l’ultimo dipinto di Caravaggio impone il coinvolgimento dei migliori studiosi, dei massimi esperti e delle imprese private con le maggiori competenze tecniche, nella consapevolezza di prendersi cura di un pezzo di patrimonio universale. Ogni decisione è presa insieme a Sovrintendenza e Ministero. Il restauro conservativo, la cura attenta, la nuova cornice e una migliore protezione permettono al pubblico di conoscere sempre meglio il valore delle collezioni di Intesa Sanpaolo”, ha dichiarato Michele Coppola, Executive Director Arte Cultura e Beni storici di Intesa Sanpaolo e Direttore Generale delle Gallerie d’Italia. Cibrario e Jatta avevano notato che sul quadro era presenta un’ossidazione discontinua, causata dall’ “alterazione degli strati di vernice trasparente finale”, che rendeva alcune zone del tutto opache. Sotto lo strato di ossidazione c’erano dei dettagli pittorici, attenuati da un leggero sbiancamento. Sono state recuperate varie fotografie scattate durante i precedenti restauri effettuati, rispettivamente, nel 1973 da Antonio De Mata a Capodimonte, quando si credeva che il quadro fosse ancora opera di Mattia Preti, e nel 2004 da Carlo Giantomassi e Donatella Zari. Ciò è servito per raccogliere dati sulle indagini già condotte in passato e per compararle con le informazioni estratte recentemente. All’epoca dell’esposizione dell’opera al Metropolitan Museum di New York, si è fatto ricorso alla tecnica di imaging non invasiva Macro X-ray Fluorescence, con la quale è stata scansionata l’intera superficie della tela con un fascio di raggi X, ottenendo delle mappe di distribuzione indicative della concentrazione dei vari elementi chimici presenti sulla pellicola pittorica. Con questo metodo sono state approfondite le zone di ritocco e si sono percepiti i dettagli originali del dipinto prima non visibili, poiché ricoperti da strati di colore non rimossi risalenti ad altri restauri. Le due ricercatrici, in quest’ultimo lavoro condotto nelle Gallerie d’Italia in via Toledo a Napoli, hanno messo a punto, dopo varie prove, la miscela solvente più idonea con cui hanno eliminato gli ultimi strati di vernice opacizzati e in parte ingialliti, liberando e ravvivando così la pellicola pittorica. La pulitura ha inoltre espulso vecchi ritocchi, risalenti a precedenti interventi e realizzati ad olio su fondi o toni scuri, restituendo al capolavoro il suo colore originale, ripristinando i toni chiari degli incarnati e di alcuni dettagli dell’armatura di Attila, e il tono scuro e freddo dei fondi. Si è capito, inoltre, che lo sfondo non era costituito unicamente da tende ma c’erano anche aste, lance, stendardi o alabarde. La verniciatura finale, eseguita con nebulizzazione per proteggere la pellicola, ha permesso la lettura delle minuzie presenti sul quadro. Il restauro conservativo ha restituito al quadro la brillantezza e la nitidezza dei suoi colori originari. Queste scoperte permettono di guardare il manufatto con occhi diversi e più consapevoli dell’immensità dell’arte caravaggesca.