Scoprire le barriere coralligene

Anche l’UniCal è tra i partner della ricerca che mira a valorizzare queste strutture

Barriere coralline? No, scogliere coralligene. «Si tratta di bio-costruzioni presenti nel Mediterraneo che si differenziano da quelle visibili nelle aree tropicali perché nascono a profondità più elevate, precisamente dai 15 ai 150 metri sotto il livello del mare. Queste strutture sono formate non da coralli, ma da altri organismi come alghe rosse, briozoi e policheti»: così le descrive Adriano Guido, ricercatore in paleontologia e paleoecologia al DiBEST (Dipartimento di Biologia, Ecologia e Scienze della Terra) presso l’Università della Calabria. Per preservarle e meglio promuoverle, perciò, proprio il dipartimento DiBEST ha collaborato con colleghi del vicino dipartimento DiMEG (sempre nell’Università della Calabria), coordinati dal professore Maurizio Muzzupappa, e con team di ricerca delle Università di Catania e di Milano Bicocca per lanciare il progetto: “Cresciuto nel blu: nuove tecnologie per la conoscenza e la conservazione dei reefs del Mediterraneo”. Un progetto che a fine 2020 è risultato vincitore di un bando del Fondo Integrativo Speciale per la Ricerca (FISR) e che per questo sarà destinatario di oltre due milioni di finanziamenti per avviare le prime attività in programma nel 2021. «Tutti noi conosciamo le scogliere coralline, ma se si chiede in giro cosa voglia dire coralligeno, in pochi sanno rispondere», spiega Guido. E continua: «Si tratta di ecosistemi particolari che hanno elevata biodiversità, sono bellissimi esteticamente, sono molto diffusi nella zona mediterranea e necessitano di tutela e valorizzazione». Le attività di studio partiranno da Marzamemi, in Sicilia. «Abbiamo scelto di testare la metodologia in questa area perché era stata già parzialmente studiata dal gruppo di ricerca di Catania», racconta Guido. E prosegue: «In questo progetto, oltre a caratterizzare degli organismi che compongono le scogliere coralligene, il Dipartimento di Ingegneria Meccanica Energetica e Gestionale svilupperà un robot sottomarino che permetterà la campionatura mini-invasiva di queste strutture, nonché il loro rilevo fotografico e la loro mappatura, per restituire mappe 3D fruibili tramite sistemi informatici». A spiegarne le caratteristiche, il professore Fabio Bruno, docente di prototipazione rapida, coinvolto nel progetto con il ruolo di responsabile dello sviluppo. «Il robot – spiega – potrà scendere fino a 500 metri di profondità ed è dotato, sulla sua base inferiore, di un braccio che possiede alla sua estremità un carotatore, ossia una punta cilindrica con la corona diamantata che, ruotando, è in grado di estrarre un campione di coralligeno, riportandolo poi in superficie». E continua: «Per contenere l’impatto ambientale sul fondale, il ROV, ossia il Remotely Operated Underwater Vehicle (veicolo sottomarino a controllo remoto), effettuerà l’operazione senza poggiarsi sul fondale, ma restando pressoché immobile a mezz’acqua. Per questo sarà necessario anche sviluppare un organismo di controllo molto sofisticato che possa mantenere il robot in assetto mentre il carotatore perfora il fondale. Il ROV è filoguidato e la presenza del cavo rende il compito ancora più arduo perché questo risente delle correnti marine e trasmette al veicolo sollecitazioni importanti che devono essere compensate dall’azione dei motori». Ad entrare nel dettaglio delle attività strettamente paleontologiche, invece, è di nuovo Adriano Guido. «Caratterizzeremo gli organismi scheletrici e microbici il cui apporto nella formazione di queste strutture non è mai stato affrontato e le cui esigenze e i cui rapporti reciproci sono dettate dal tipo di ambiente in cui vivono», dice ancora il ricercatore. «Il team – spiega – ha le giuste competenze di geomicrobiologia per portare avanti un lavoro che non era mai stato avviato prima: a Milano la professoressa Daniela Basso, capofila della ricerca, si dedicherà alla caratterizzazione delle alghe, a Catania gli specialisti si occuperanno di studiare briozoi e policheti e io, in Calabria, lavorerò alla parte microbica di questo studio: in questo modo copriremo dal punto di vista paleontologico tutti e quattro gruppi di organismi che normalmente partecipano alla costruzione delle scogliere coralligene mediterranee». E conclude: «I risultati delle nostre indagini ci permetteranno di capire come si sono sviluppati questi sistemi, qual è la loro variabilità morfologica e a cosa è legata, nonché ci serviranno come registro di quelle che sono state le variazioni ambientali di queste strutture dal momento in cui si sono formate fino ai giorni nostri, per capire qual è lo stato di salute del Mediterraneo».