Se la loro povertà cresce, l’Italia è ancora un Paese per bambini?

In occasione della Giornata internazionale dell’infanzia e dell’adolescenza (20 novembre), Save the children ha diffuso il VI Atlante dell’infanzia (a rischio) in Italia, “Bambini senza. Origini e coordinate delle povertà minorili”. Abbiamo interpellato don Fortunato Di Noto (Meter onlus) e Liviana Marelli (Cnca) per capire se l’allarme che emerge dai dati sia reale.

Ogni anno il 20 novembre si celebra la Giornata internazionale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Per l’occasione l’organizzazione Save the children ha diffuso il 6° Atlante dell’infanzia (a rischio) in Italia, “Bambini senza. Origini e coordinate delle povertà minorili”. I dati che emergono sono allarmanti: “1 bambino su 20 non può permettersi due paia di scarpe l’anno e un pasto proteico al giorno; 1 su 6 attività extra-scolastiche; quasi 1 su 3 almeno una settimana di vacanza lontano da casa; tempo pieno a scuola per 3 alunni su 10; migliaia di minori vittime dell’illegalità e decine di migliaia i giovani in fuga dal Sud al Nord. Non solo: l’Atlante stima in circa 400mila i minori vittime di violenza assistita dentro le pareti domestiche. Se i dati fotografano realmente la realtà italiana, dobbiamo dedurre che il nostro non è un Paese per bambini e adolescenti. Nell’analisi ci aiutano don Fortunato Di Noto e Liviana Marelli.

Alcuni dubbi. Resta perplesso di fronte a questi dati don Fortunato Di Noto, fondatore e presidente di Meter onlus: “Sarebbe interessante capire da dove sono tratti. Sono numeri incontrollabili. Questo è un fenomeno che vive di sommerso: la conseguenza è che non possiamo avere un quadro chiaro”. Ugualmente, il sacerdote si chiede “come si possa dire che un bambino su venti non ha a disposizione due paia di scarpe”. Questione diversa, per don Di Noto, “sono i dati forniti dalle Caritas che vengono dagli osservatori sulle povertà, che, grazie alla presenza capillare delle parrocchie e delle associazioni presenti in diocesi, offrono quadri molto più chiari”. Ciò, aggiunge, “non vuol dire che l’infanzia non sia dimenticata o maltrattata, ma esiste anche un grande impegno, anche se certamente si può fare di più e meglio”.Infatti, “la questione dell’infanzia oggi, proprio perché ricorre la Giornata mondiale, deve essere affrontata con passione, ma anche con intelligenza e concretezza”, per portare a casa risultati reali a favore dei più piccoli. Allora, suggerisce il presidente di Meter, “occorre sempre stare dalla parte dei bambini, ma anche fare un lavoro più organico. Io mi appello pure al governo. È stato creato per legge un osservatorio sulle violenze sessuali, pedofilia e pedopornografia, ma esiste anche uno nazionale sull’infanzia e l’adolescenza: perché non pensare di far fruire i dati? Altrimenti, non riusciamo a incidere concretamente nella realtà di questi bimbi che hanno bisogno”.

Povertà in aumento. Di parere diverso Liviana Marelli, che è responsabile per l’infanzia e l’adolescenza del Cnca (Coordinamento nazionale comunità di accoglienza). Pur non avendo ancora letto il report con le fonti da cui sono tratti i numeri, osserva: “I dati emersi dall’Atlante sono preoccupanti, ma è già da parecchio tempo che le organizzazioni che si occupano di bambini segnalano un impoverimento progressivo delle famiglie e, di conseguenza, dei minorenni italiani. Il tasso di povertà dei bambini e degli adolescenti italiani, non solo nelle regioni del Sud, è in aumento. Lo diciamo anche nel Piano nazionale dell’infanzia, che contiene delle misure di contrasto alla povertà minorile. Tale Piano è stato approvato dall’Osservatorio sulle politiche per l’infanzia e l’adolescenza lo scorso 28 luglio, ma è tuttora fermo”. D’altro canto, “se continuiamo a disinvestire, se riduciamo i servizi sociali pubblici, se interveniamo solo nella riparazione delle emergenze, la povertà crescerà, come possiamo constatare quotidianamente”.

Lavorare su prevenzione e educazione. L’altro dato inquietante dell’Atlante è quello riguardante i 400mila bambini vittime di violenza assistita tra le mura domestiche: “Io non ho il dato in questo campo in Italia, ma nelle nostre comunità c’è una crescita enorme di richieste di accoglienza di mamme con bambini provenienti da contesti altamente violenti. Purtroppo, siamo costretti anche a dire dei no perché non abbiamo sufficienti posti”. Sicuramente “serve un investimento maggiore in centri antiviolenza e in case di accoglienza, che spesso sono autofinanziate, perché non tutte sono coperte da fondi pubblici; come pure potenziare una rete di professionisti dei servizi sociali pubblici e una rete territoriale di prossimità. Ma occorre certamente un investimento molto alto sulla prevenzione, sulla cultura e sull’educazione. Anche qui non dobbiamo arrivare a occuparci di donne e bambini dopo che hanno subito i maltrattamenti, dobbiamo provare a evitare che questo accada. Sono necessarie una scuola e una società civile che lavorino su questo fronte. Non può essere una questione solo da addetti ai lavori. Dobbiamo riassumere una responsabilità di una società civile più capace di fare prevenzione e cultura, meno individualista, coesa nella stigmatizzazione della violenza sempre”.