Se qualcosa fa male perché legalizzarla?

Non si può fingere di non vedere che questo tipo di norme, concernendo ambiti eticamente sensibili, inevitabilmente impatta sulla formazione di una cultura condivisa a livello di comunità civica. Si lascia passare, "sottilmente" ma concretamente, il messaggio che, in fondo, "non fa poi così male", basta regolarne un po' l'uso.

Di questi tempi la “trasversalità” politica è merce assai rara nel nostro Parlamento. Spesso neanche temi che riguardano palesemente il bene comune riescono a coagularla. Ma evidentemente, non è ancora del tutto estinta. C’è voluta la “cannabis”, infatti, per ricreare una certa concordia “super partes” (nel senso di “partiti”). Stiamo parlando della nuova proposta di legalizzazione della marijuana, promossa dal senatore Benedetto Della Vedova, che ha raccolto finora l’adesione di 218 parlamentari, un po’ da tutti gli schieramenti politici (Pd, M5s, Sel, Misto, Fi, Sc). I contenuti della proposta di legge (non ancora depositata) sono stati presentati alla stampa mercoledì scorso (15 luglio). Ecco, in estrema sintesi, le “innovazioni” antiproibizioniste previste. Permessa ai maggiorenni la detenzione di una modica quantità di cannabis per uso “ricreativo” (15 grammi a casa, 5 grammi fuori casa), divieto assoluto per i minorenni. Permessa la coltivazione in casa di marijuana (fino a un massimo di 5 piante), ma il raccolto non potrà essere venduto. Apertura dei “Cannabis social club”, enti senza fini di lucro, dove gli associati (max 50 membri), maggiorenni e residenti in Italia, potranno coltivare la cannabis. Previa autorizzazione, è permessa la coltivazione, lavorazione e messa in vendita al dettaglio della cannabis in negozi dedicati, forniti di licenza dei Monopoli di Stato. Permane il divieto d’importazione ed esportazione. Prevista l’auto-coltivazione per “fini terapeutici”, mentre vengono semplificate le modalità di consegna, prescrizione e dispensazione dei farmaci a base di cannabis. Divieto di fumo nei luoghi pubblici (compresi i parchi) e di guida, se in stato di alterazione. Il 5% dei proventi dalla legalizzazione saranno destinati al finanziamento dei progetti del Fondo nazionale per la lotta alla droga. La principale finalità dei proponenti è quella di regolare e controllare l’uso della marijuana nel nostro Paese, sottraendolo così (almeno nell’intenzione) ai perversi effetti collaterali del traffico illegale gestito dalla criminalità organizzata. Un obiettivo in se stesso positivo, non c’è dubbio. Peccato che lo strumento proposto per raggiungerlo non risulti poi così efficace, come dimostrano i deludenti risultati di altri Paesi dove esso è già da tempo in atto. In Italia, abbiamo provato a risolvere così il problema (solo analogo) del gioco d’azzardo… con risultati non proprio esaltanti! Qualcuno, con piglio cinico, dirà: ma almeno con questo meccanismo (monopolio) lo Stato finisce per introitare denaro. È vero, ma basta questo per “svendere” la vita di tante persone, giovani e non, alla dipendenza da sostanze stupefacenti? O qualcuno vuole ancora riproporre la favoletta della “non nocività” della droghe leggere – tra cui la cannabis – che la scienza ufficiale ha ormai da tempo smentito? I promotori dell’iniziativa hanno anche spiegato che la “legalizzazione” proposta, da un lato contribuirebbe ad alleggerire il carico giudiziario legato alle condanne per consumo di droghe leggere, dall’altro favorirebbe la stabilizzazione dell’uso terapeutico di farmaci a base di cannabis. Non ne siamo molto convinti, ma ci limitiamo ad osservare che per queste finalità collaterali basterebbero degli interventi legislativi “ad hoc”, senza bisogno di una più ampia “legalizzazione” del settore. Ma se anche ci fosse solo qualche probabilità che questo provvedimento possa in qualche modo funzionare, non varrebbe comunque la pena di sostenerlo? Forse sì, se si trattasse di qualcosa di meramente “organizzativo”. Ma non si può fingere di non vedere che questo tipo di norme, concernendo ambiti eticamente sensibili, inevitabilmente impattano sulla formazione di una cultura condivisa a livello di comunità civica. E legalizzare qualcosa che “fa male” (in molti modi) ai singoli e alla comunità – come indica anche la prevista destinazione del 5% dei proventi statali al Fondo nazionale per la lotta alla droga -, lascia passare, “sottilmente” ma concretamente, il messaggio che, in fondo, “non fa poi così male”, basta regolarne un po’ l’uso. Insomma, il rimedio sarebbe peggiore del danno!