Selfie e social game: piccole fughe dalla realtà

Daniele La Barbera, psichiatra e docente dell'Università di Palermo, ci spiega cosa succede nel cervello del giocatore e cosa cambia nell'individuo con l'impatto di queste nuove "manie" digitali collettive. 

Selfie e social game… (App)arire ed (E)mozionare. E’ il titolo di copertina di Parola di Vita di questa settimana. L’Italia è uno dei paesi più attivi nei social network. Una persona su quattro utilizza i social media ed entro il 2017 si raggiungeranno gli oltre due milioni e mezzo di utenti. L’Università Cattolica di Milano ha realizzato un’indagine volta a studiare il fenomeno dei selfie. Dalla ricerca è emerso che gli scopi riconosciuti da questa attività sono: “far ridere agli altri”, “apparire”, “raccontare un momento della propria vita”, cercare notorietà, ottenere commenti positivi dagli amici. L’altra “mania” alla quale il settimanale diocesano ha dedicato il primo piano è legata ai social games. Giochi progettati perfettamente per far leva su emozioni e sul desiderio di superare se stessi.

Di queste “manie” digitali ne abbiamo parlato con il professore Daniele La Barbera, psichiatra e docente in Biomedicina Sperimentale e Neuroscienze Cliniche presso l’Università di Palermo. La Barbera, ricopre anche l’incarico come direttore responsabile della rivista scientifica Psicotech, organo della SIPTech, Società Italiana di Psicotecnologie e clinica dei nuovi media, di cui è fondatore e presidente.

Il successo  dei social games, ad esempio del Candy Cruh, ormai è planetario. Cosa succede nel cervello del giocatore, a livello socio –psicologico, che trascorre ore ed ore della giornata sul proprio tablet o smartphone per superare i livelli?

Questo tipo di esperienze rende  possibile il coinvolgimento in un’attività ripetitiva, coinvolgente ma non troppo impegnativa, che consente di staccare per un po’ di tempo i contatti con l’ambiente e immergersi in un compito di gioco con modalità dissociative; sono piccole fughe dalla realtà che determinano un effetto gratificante – specialmente se si raggiunge l’obiettivo del gioco o si superano delle difficoltà crescenti – che ha come effetto l’aumento della produzione nel cervello di una sostanza, la dopamina, che è uno dei  neurotrasmettitori cerebrali che consentono alle cellule nervose di comunicare tra di loro.

Frustrazione e soddisfazione, desiderio e divertimento, perché scaturiscono nell’individuo la costante voglia di continuare a giocare?

Per alcuni soggetti è più difficile darsi dei limiti quando ci si coinvolge in un’attività di svago che, come Candy Crush  (o Ruzzle o tanti altri giochini analoghi) può essere ripetuta facilmente all’infinito in qualsiasi luogo ci si trovi; chi è più incline a comportamenti di tipo compulsivo può sentire il desiderio di continuare a giocare in modo particolarmente ripetitivo anche per la motivazione di migliorare sempre di più la propria performance e di reiterare più e più volte la sfida con gli altri o con se stesso.

Queste caramelle hanno rivoluzionato la vita di milioni di persone. La domanda che li tormenta è: a che livello sei? Invece di: ciao come stai? Dalla competizione si passa alla dipendenza…

La dopamina  è una sostanza collegata al piacere e alla gratificazione ma che, proprio per questo,  può essere contribuire in alcuni soggetti, proprio perché implicata nei meccanismi neurobiologici della gratificazione, alla tendenza a rimanere “intrappolati” in queste esperienze per tempi anche molto lunghi, magari rinunciando ad attività più rilevanti o necessarie, sviluppando, cioè, una forma di dipendenza.

Come cambia l’individuo con l’impatto delle nuove tecnologie? Esse possono modificare la nostra individualità?

Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione sono uno dei più potenti fattori di cambiamento della psiche individuale e collettiva nell’epoca attuale. Modificano la sfera cognitiva, le relazioni sociali e quelle intime e quindi anche il modo di percepire ed esprimere emozioni e sentimenti. Inoltre influenzano in modo molto rilevante il modo di rappresentarsi la realtà e di rappresentare se stessi e quindi intervengono fortemente nei processi di costruzione dell’identità.

Quali sono le implicazioni nello sviluppare la propria mente e la propria identità in un mondo digitale?

La psicologia dello sviluppo oggi non può non tenere conto dell’influenza sulla mente delle tecnologie ditali; l’evoluzione di queste tecnologie e la loro diffusione sempre più ampia e capillare fa sì che le nuove generazioni tendono a essere più pronte e veloci, ma meno riflessive e caute, più capaci di sviluppare conoscenze in superficie che di approfondire e trovare collegamenti all’interno delle loro reti cognitive; più inclini al raggiungimento rapido e facilitato di obiettivi e traguardi che all’impegno continuato, prolungato e trasformativo. Non va poi trascurato che le nuove tecnologie hanno determinato in poco tempo una straordinaria compressione spazio temporale che  rende tutti, ma in modo particolare gli adolescenti e i giovani, tendenzialmente rapidi, istantanei, ubiqui: siamo sempre più schiacciati sul presente e, soprattutto per i nostri ragazzi, il senso della storia come legame col passato e le generazioni, e il senso del progetto esistenziale, come capacità di proiettarsi e investire sul futuro, vengono a essere fortemente depotenziati. I nostri figli e nipoti hanno competenze e abilità tecnologiche sempre più ampie ma sembrano trovarsi in difficoltà a vivere emozioni e sentimenti, a esprimerli, a comprenderli, a dare loro un senso. Si comprende bene che il problema dei nostri piccoli nella civiltà tecnologica avanzata, non è l’alfabetizzazione tecnologica ma quella emotiva, non è l’abilità a usare sempre più tecnologie e sempre più precocemente, ma a usarle responsabilmente e in modo etico. Su questi aspetti dovrebbero fondarsi i nuovi modelli pedagogici della società post-moderna.

Il  ruolo dei media digitali “intaccano” le tre aree vitali dell’età adolescenziale: identità, intimità ed immaginazione?

I processi identitari, cioè la faticosa costruzione di se stessi in modo da pervenire ad un assetto personologico stabile e autentico, oggi indubbiamente  risentono della velocizzazione di tutte le transazioni sociali e di tutti gli scambi interpersonali, che rendono questi processi più complessi e insicuri. Ciò significa che, più che nel passato, l’identità post-moderna tende ad essere vacillante e mutevole: alle identità forti e rigidamente strutturate oggi abbiamo sostituito identità deboli, camaleontiche, modulari, in linea con il passaggio da un’atmosfera educativa di tipo autoritario e patrilineare, a una di tipo affettivo, protettivo, tollerante e permissivo. I media digitali poi, in particolare i social media, hanno totalmente capovolto il sentimento della privacy, della riservatezza, della discrezione, introducendo il dominio della “publicy”, cioè la rinuncia alla propria privatezza a favore della condivisone, con un quantità molto numerosa di persone o di “contatti”, della maggior parte degli aspetti della propria vita privata. Questi principi contribuiscono inevitabilmente a erodere il valore dell’intimità e a diminuire enormemente l’attitudine a proteggerla e preservarla. Infine in una civiltà ipervisuale, inflazionata da immagini e stimoli sensoriali estremamente pervasivi, la vita dell’immaginazione può risentirne negativamente perché essa si basa sulla capacità di prendere contatto con gli aspetti più profondi della propria vita mentale, e sulla attitudine a suscitare immagini e fantasie  dall’interno.

A proposito di selfie mania. Che significato hanno i selfie dal punto di vista psicologico?

I selfie rappresentano la dimostrazione più chiara ed evidente di come le nuove tecnologie digitali e i social media ci rendano tutti più narcisisti, in costante ricerca di conferme e apprezzamento da parte degli altri. Se Narciso nascesse ogg,i senza alcun dubbio non si specchierebbe più sulla superficie di un lago ma sul display di uno smartphone o di un tablet…

Da cosa scaturisce il bisogno irresistibile di scattarsi delle foto per pubblicarle immediatamente sui social network?

Il funzionamento relazionale di un social network si basa essenzialmente sulla polarità: guardare/essere guardato; è una particolare commistione tra tendenze voyeuristiche ed esibizionistiche che spinge a mettersi in mostra, a rendersi visibile, a mettersi in vetrina, a evidenziare di sé le immagini migliori, sempre in attesa della più intensa “ricarica” narcisistica possibile attraverso la numerosità dei like che le proprie immagini  totalizzeranno.

Quali possono essere le caratteristiche psicologiche di chi si fa i selfie in termini di personalità?

Bisogno di piacere, bisogno di conferme, desiderio di suscitare consenso e ammirazione, desiderio di dare agli altri l’immagine migliore possibile di sé, anche se non del tutto realistica o veritiera. Se fino a un certo punto questi bisogni sono anche fisiologici e quindi corrispondono a una sorta di narcisismo sano, in alcune persone lo spasmodico bisogno di approvazione e di riscuotere l’apprezzamento esplicito degli altri, tradisce una fragilità dei meccanismi interni che garantiscono, in maniera relativamente indipendente dalle reazioni degli altri, il mantenimento di un sentimento di sicurezza e un livello accettabile, stabile e costante di autostima.