Primo Piano
Siamo all’emergenza. Servono nuovi progetti
Padre Paul Karam, presidente della Caritas Libano ha illustrato la complicata situazione che si vive in Libano, a causa della presenza di due milioni di profughi siriani e del costante impoverimento dei libanesi
Il nostro è un paese generoso e la nostra gente sta facendo di tutto per accogliere i tantissimi rifugiata provenienti dalla Siria e dalla Palestina, ma ormai siamo al collasso”. Questo l’appello di padre Paul Karam, presidente della Caritas Libanese che abbiamo incontrato durante il nostro viaggio nella terra dei Cedri. “Qui la crisi è iniziata nel marzo del 2011 con lo scoppio della guerra in Siria che ci ha coinvolto, tutti, in prima persona. Da allora, sono tantissimi i profughi che scappano e molti (1 milione e 800mila presenti ora in Libano) hanno attraversato le frontiere per raggiungere il nostro paese”. Dall’accoglienza, però, in poco tempo si è passati a una situazione di emergenza difficile da gestire. “Tanti siriani erano già presenti in Libano; eravamo abituati alla loro presenza, ma, con lo scoppio della guerra e il mancato controllo del governo, ci siamo ritrovati ad avere quasi due milioni di profughi in un paese che di abitanti ne fa poco più di quattro milioni. Praticamente, metà della popolazione”. Popolazione che si è trovata a dover fronteggiare diverse difficoltà di ordine pratico che padre Paul sintetizza in tre punti: un paese che non riesce a soddisfare le esigenze di tutti; una sanità ormai al collasso e una condizione lavorativa ormai al limite, con un numero sempre maggiore di siriani che hanno ‘occupato’, soprattutto nelle campagne, impieghi che prima svolgevano i libanesi. “Un altro problema – continua padre Karam – riguarda i nuovi nati in Libano, circa 150mila che non sono stati registrati nè in Libano nè in Siria. A questi, vanno ancora aggiunti circa 280mila ragazzi, tra i 3 e i 6 anni, che frequentano le nostre strutture scolastiche nel pomeriggio”. Un quadro, quello tracciato dal presidente della Caritas che spiega, in maniera chiara e con dati alla mano, come la situazione in Libano sia davvero difficile. “Oggi, il 36% dei libanesi è sotto la soglia della povertà (il 60% è composto da giovani tra i 13 e i 17 anni). Proprio per questo, nonostante sia necessario e doveroso continuare ad aiutare un popolo che scappa dalla guerra, stiamo chiedendo con forza che, da ogni aiuto destinato al popolo siriano in Libano, almeno un 30% venga destinato al popolo libanese”.
Quindi solidarietà, ma anche un modo di guardare in faccia la realtà, in un paese dove già convivono sei diversi riti cristiani insieme ai musulmani (sunniti, sciiti e drusi), in un bellissimo mosaico di confessioni (18 in totale) che presenta non poche criticità, nonostante il pieno riconoscimento della costituzione e la spartizione degli incarichi.
Quindi la necessità di ricevere aiuti, come quelli finanziati dalla Cei, per sostenere le iniziative a favore dei profughi così da alleggerire il peso sostenuto dal popolo libanese. “Con il progetto finanziato dall’8xmille, nel 2013, abbiamo aiutato alcune famiglie a trovare una sistemazione dignitosa e a sostenere alcuni programmi di scolarizzazione. In aggiunta a questi progetti, sarebbe necessario avere ancora maggiore sostegno, per finanziare piccoli progetti a favore dei giovani libanesi che vogliono realizzarsi dal punto di vista lavorativo e non riescono a ripartire”.