Sibari sia patrimonio dell’Unesco

L’invito di don Pietro Groccia a riscoprire la bellezza di un’area ricca di storia e cultura

«Immersi in questa nostra contemporaneità, viviamo una forma di oblio per tutto ciò che riguarda il passato. Infatti, l’idea di una cultura sradicata dai contesti specifici e senza memoria storica costituisce una minaccia per l’identità di chi si sente privato di fonti d’identificazione collettiva. Proprio per questo è necessario reagire ai processi di omologazione, di standardizzazione, di omogeneizzazione, che accompagnano la globalizzazione del mondo, contrapponendo a essi la rivitalizzazione delle culture locali, la riscoperta e la reinvenzione delle radici storiche comuni. Senza memoria non può esserci presente autentico e non può esserci prospettiva di apertura verso un futuro di bene. E la nostra storia, grazie a Dio, è gloriosa». Don Pietro Groccia, vicario per la cultura della diocesi di Cassano allo Jonio, appoggia con vivo entusiasmo e passione travolgente la proposta di candidatura di Sibari a patrimonio dell’Unesco. Una proposta che trae ancora più forza dalla sinergia tra Chiesa e politica. Spiega don Groccia: «C’è una buona collaborazione con l’amministrazione comunale di Cassano allo Jonio, guidata dal sindaco Giovanni Papasso, e con la Regione Calabria, nella figura dell’onorevole Gianluca Gallo. Ma questo non significa che la Chiesa fa politica. I processi di secolarizzazione e di globalizzazione in atto hanno generato nel nostro tempo una ischemia verticale non solo dei valori cristiani, ma anche del senso religioso ed etico della vita». E specifica ulteriormente: «Le gerarchie ecclesiastiche non si occupano di formare partiti politici. Ma non bisogna perdere di vista che la fede cristiana si connota socialmente: è carità sociale, quale disposizione a servire l’uomo in piena onestà e coerenza, senza favoritismi, ma nel rispetto dei diritti di ognuno e di tutti. Penso sia giunta l’ora di ripensare coraggiosamente a nuovi modelli informativi e a più adeguati metodi formativi, in grado di attualizzare concretamente il progetto religioso giudeo-cristiano, con l’obiettivo di rifondare spiritualmente ogni forma dell’agire politico. Ne costituisce riprova anche un bel volume del mio vescovo Francesco Savino, dal titolo “Spiritualità e politica” che, muovendo da una critica alla classe politica contemporanea, priva di anima e ossessionata dalla ricerca della sicurezza e del benessere materiale, ricostruisce una pagina assai bella del cattolicesimo politico italiano, e declinando i percorsi di tre straordinari testimoni del XX secolo, Moro, la Pira e Dossetti, rilancia nell’attuale fase storica della politica i valori del personalismo, per l’inveramento cristiano della politica contemporanea. Su questo la Chiesa è chiamata a praticare con generosità la «carità intellettuale», come diceva Antonio Rosmini. Nella tradizione cristiana la politica è compresa come forma alta di carità. Chiara Lubich la definiva l’amore degli amori». Ecco perché, secondo don Groccia, «il riconoscimento di Sibari a patrimonio dell’Unesco sarebbe motivo di soddisfazione sia per la chiesa che per le istituzioni civili. Quando in mezzo c’è il bene non servono le divisioni perché solo la convergenza fa spiccare il volo». Ma perché Sibari è così speciale? Nel ripercorrerne la storia, don Groccia si lascia guidare dalle emozioni. «Ogni nostro angolo – spiega – è abitato da una gloriosa storia. Il nostro territorio è speciale sia dal punto di vista geografico che topografico. Per parafrasare la poesia “A Zacinto” di Ugo Foscolo, siamo accarezzati dalle acque dello Ionio “da cui Vergine nacque Venere e fea quelle isole feconde”. E poi, siamo anche benedetti e protetti dai monti del Pollino. Siamo posizionati in una condizione di idealità». E quindi, nonostante qualche stortura, deve prevalere la voglia di valorizzare sempre più la propria grandezza che ha origine in un lontano e glorioso passato. «Come si può cogliere dalle cronache – continua – tante precarietà segnano il volto bello della nostra terra. Tuttavia Sibari non è un’area arretrata. Piuttosto, è un territorio dove si è fatta sintesi e dove si sono incontrati grandi pensatori del passato. Ben ci descrive un’espressione molto significativa di un sociologo-filosofo di derivazione marxista, Ernst Bloch: “Tutto nasce a Sud”. Qui l’orientale lumen si è incontrato con la concretezza dei latini e da qui è nata la stagione del pensiero. Tutto questo non deve andare perduto. Recuperare la nostra storia potrebbe dare nuova luce al nostro futuro. Il popolo di Sibari vuole ritrovare le sue radici per innestarvi dentro il seme valoriale del Vangelo che potrebbe consentirci di vivere una nuova primavera di sviluppo. Diventare patrimonio dell’Unesco potrebbe essere una via privilegiata perché venga inaugurata una nuova stagione costituente per questo territorio». Perché la Sibaritide si riappropri sempre più del suo splendore, secondo don Groccia non si può che partire dall’uomo. «Questa terra – spiega – può rilanciarsi innanzitutto con la lezione del Vangelo. Bisogna che la dignità dell’uomo sia il cuore del nostro progetto. Nell’enciclica “Redemptor Hominis”, Giovanni Paolo II diceva che l’uomo è “via fondamentale della Chiesa”. Il cristianesimo cattolico crede che il Crocifisso rigeneri l’uomo dal profondo, realizzando una sua purificazione da ogni interiore ambiguità, dal peccato. La corruzione non lascia crescere la civiltà. Dobbiamo sdoganarci, allora, da tutte le incapsulature che ci tengono prigionieri e sanare col balsamo del Vangelo le ecchimosi del nostro territorio. Penso che sia arrivato il giusto kairos, il tempo propizio affinché Sibari possa spiccare il volo. Il riconoscimento a patrimonio dell’Unesco potrebbe essere il nostro trampolino di lancio». In questo contesto, la diocesi di Cassano allo Jonio dà il buon esempio da anni. Prosegue don Groccia: «I vescovi che si sono succeduti negli ultimi anni si sono tutti industriati per incarnare il Vangelo della liberazione nelle piaghe del nostro territorio. La nostra Chiesa è aperta e inclusiva per natura perché vede nell’altro il completamento di noi stessi. Non possiamo mai dire di no all’uomo. D’altronde il Sibarita ha sperimentato l’esperienza della partenza e la sofferenza del ritorno: siamo aperti al dono, siamo terra di mare e il mare ci apre alla prospettiva dell’accoglienza. Monsignor Savino vuole che la Sibaritide sia una casa senza porte all’interno della quale vivere la civiltà del Vangelo per superare le ambigue separazioni tra “fede privata” e “etica pubblica”. Stiamo cercando di instaurare un nuovo umanesimo cristiano che vede l’uomo restituito alla sua dignità di persona, quindi, non più prevaricabile da alcuna altra forma ideologica e idolatrica». E se qualcuno ancora non fosse convinto della bellezza di Sibari? Se qualcuno ancora non la ritenesse “abbastanza” per diventare patrimonio dell’Unesco? «Gli risponderei – conclude don Groccia – che la cultura è l’unico antidoto, per contrastare le filosofie della morte e della decostruzione e favorire in modo decisivo l’uscita dell’uomo occidentale dalla condizione di crisi in cui versa. Se non ci apriamo a una svolta culturale, siamo destinati a rimanere prigionieri delle nostre attese».