Primo Piano
Suor Angela Cimino, consacrata tra i barconi
La suora delle Dorotee di Vicenza, nata a San Giovanni in Fiore, è approdata a Lampedusa circa due mesi fa in un comunità intercongregazionale (UISG) per accogliere i migranti e creare dei ponti con gli isolani. Il racconto del suo ministero tra lacrime e sorrisi di speranza.
Nel cuore del Mediterraneo, non molto distante dalla Sicilia, c’è la bellissima isola delle Pelagie famosa per le spiagge, le acque cristalline e poco profonde: Lampedusa. Papa Francesco si recò in visita in quest’isola per rendere omaggio alle tante vittime di migranti morti in mare l’8 luglio del 2013, e ogni volta che parla del Mare Nostrum lo definisce “un freddo cimitero senza lapidi”. Proprio in occasione del primo viaggio del suo Pontificato, il Santo Padre notò sull’isola l’assenza di religiose. Oggi, la presenza delle suore in questa piccola isola è reale grazie al progetto dell’Unione Internazionale delle Superiori Generali (UISG) con una comunità di 4 religiose di quattro Congregazioni differenti e quattro Paesi diversi: suor Danila dalla Croazia, suor Ines dagli Stati Uniti, Suor Rufina dall’India e suor Angela dall’Italia. Il progetto Migranti, avviato nel 2015 dapprima in Sicilia e dal 2019 a Lampedusa con tre suore di varie nazionalità, è coordinato da suor Antonietta Papa. Tra le religiose della piccola comunità lampedusana vi è suor Angela Cimino delle Suore Dorotee di Vicenza, con origini calabresi, di San Giovanni in Fiore e sorella del sacerdote diocesano di Cosenza-Bisignano don Battista Cimino, missionario in Africa per 24 anni.
Suor Angela Cimino è approdata a Lampedusa circa due mesi fa per questa missione UISG nel campo dell’assistenza ai migranti con l’obiettivo di costruire ponti tra i migranti e la comunità locale. È il primo pomeriggio di giovedì scorso quando contattiamo telefonicamente suor Angela, la prima cosa che ci dice è che ha appena ricevuto la comunicazione che alle ore 16 arriva al Molo Favarolo uno sbarco con 120 migranti. Il tempo di rilasciarci l’intervista e deve prepararsi per correre insieme alle consorelle e ai giovani volontari al molo per accogliere i fratelli migranti.
Suor Angela perché si trova a Lampedusa?
Mi trovo in questa bellissima isola per volontà della mia Madre generale che ha accolto il progetto della UISG sui migranti a Lampedusa. Si tratta di un’esperienza intercongregazionale molto forte che condivido insieme ad altre tre suore di diverse congregazioni e Paesi differenti che cura l’aspetto migratorio. Tutte noi siamo partite per Lampedusa con la fiducia nel Signore, quella che non ti fa dire ma cosa troverò, cosa farò, ci siamo sentite come Abramo partito senza conoscere la meta e un po’ anche come Maria, perché ciascuna di noi ha avuto delle certezze interiori e siamo approdate qui accogliendo la richiesta di questa missione che è stata nuova per tutte noi. In questa missione ci hanno preceduto tre suore, noi siamo il secondo turno, ogni tre anni c’è un cambio. La nostra presenza cristiana sul campo vuole essere una testimonianza di comunione e impegno evangelico con i lampedusani.
Voi suore di cosa di occupate?
Adesso e per tutto l’inverno si registreranno meno sbarchi per cui garantiamo una presenza nella comunità parrocchiale, partecipiamo ad ogni iniziativa, portiamo la nostra testimonianza vocazionale, c’è una suora impegnata nella Caritas, visitiamo le famiglie, gli anziani, gli ammalati, anche se resta prioritario il servizio ai fratelli migranti che arrivano al Molo Favarolo di Lampedusa. Quando sono previsti gli sbarchi veniamo avvisate in poco tempo, nel giro di mezz’ora, un’ora, dobbiamo prepararci per correre al molo, dove in prima linea operano la Guardia Costiera, la Guardia di Finanza, i medici, la Croce Rossa e come ultima accoglienza è proprio la nostra, insieme ad un gruppo di giovani volontari della Mediterranean Hope.
In cosa consiste il vostro servizio?
Accogliamo uomini, donne e bambini, che arrivano in una situazione disumana, bagnati, scioccati, li aiutiamo a togliere quelle giacche pesantissime, bombe d’acqua, e diamo loro la coperta termica che se serve ben poco perché arrivano fradici. Vederli in quelle condizioni, toccarli e non poter far null’altro è un’esperienza che non riesco ancora a superare, mi commuove, tutto viene fatto tra l’altro in fretta perché altrimenti peggioriamo la loro condizione di salute; questi uomini e queste donne dopo avergli offerto una bevanda calda come il the, l’acqua e una brioche, vengono fatti salire a bordo dei pullmini per portarli subito all’hotspot dove riceveranno assistenza e cure.
Quanto dolore vede negli occhi di queste persone?
Questa per me è un’esperienza molto forte; nella prima uscita ricordo una mamma che ha perso tre bambini e il marito, r era tremante, due bambine erano cadute in acqua con il papà e l’altra bimba era con la mamma, ma quando è arrivata al molo la piccolina era nelle mani dei medici per tentare di rianimarla. Quando abbiamo visto una piccola bara bianca passare dietro al molo abbiamo capito la drammaticità di questa donna disperata, che urlava, che ancora non sapeva che la terza figlia era morta. A quel punto ho preso il capo di questa donna, l’ho poggiato al mio petto e l’ho accarezzata in silenzio. Un altro episodio forte ancora da superare è avvenuto il giorno di Natale, in uno sbarco di 116 giovani tra i 17 e i 30 anni, e anche bambini, guardarli negli occhi è stato uno shock perché ho catturato in ognuno di loro uno sguardo perso nel nulla. Quel giorno c’era poco personale perciò con le mie consorelle ci siamo ritrovate oltre quella “linea di confine” che spetta a noi ed abbiamo avuto l’occasione di stare insieme ai ragazzi regalandogli un sorriso. Per noi è stato un Natale diverso ma bello, siamo rimaste insieme ai bambini, abbiamo ascoltato le loro storie. Dapprima si sono mostrati spaventati, uno di loro ha chiesto chi fossi e perché ero vestita in quel modo, gli ho spiegato che ero una suora di religione cattolica, quasi volevano spostarsi da me perché erano musulmani ma gli ho spiegato che siamo tutti fratelli, subito dopo abbiamo parlato del loro faticoso viaggio, erano da quattro giorni in mare. Sono contenta di essere qui a Lampedusa, perché esserci non è la stessa cosa di quando questi drammi li guardiamo attraverso la televisione. Sono episodi a cui non puoi farci mai l’abitudine.
Suor Angela lei è consacrata da più di quarant’anni. Cosa si aspetta alla fine di questa esperienza missionaria?
Sì, tanti anni li ho vissuti a Vicenza con vari impegni, poi nel 2018 è cominciata la missione, sono stata in Romania per 4 anni, poi sei mesi in una comunità di passaggio con destinazione la Caritas di Crotone sempre per occuparmi di migranti ma non essendo partita sono approdata a Lampedusa. Auspico nella fratellanza. Andando in giro per l’Italia in tutti questi anni ho sperimentato la paura e il sospetto dell’altro, vorrei che questo non esistesse nella vita di ciascun uomo. La fratellanza deve regnare su tutto e su tutti. La mia speranza cristiana a Lampedusa mi sta liberando anche da qualsiasi giudizio e pregiudizio, vorrei vivere questa dimensione di fratellanza cristiana guardando l’altro, toccando l’altro senza sospetto e senza paura. Quest’isola sta dando un esempio stupendo di umanità e di fraternità. Vorrei ricordare che questa estate i negozi hanno chiuso per tre giorni rendendosi disponibili nell’aiutare questi fratelli migranti che arrivavano a flotte, la gente dell’isola si commuove e non si è abituata a questa esperienza drammatica. E mentre altrove si alzavano muri l’isola di Lampedusa spalancava il cuore e le porte. Non sempre c’è questa accoglienza libera di ogni fratello.
La preghiera l’aiuta a vivere meglio questo servizio?
Il contenuto della mia preghiera qui a Lampedusa è cambiato, dopo aver vissuto un’esperienza forte affido al Signore tutti i fratelli e le sorelle che ho incontrato. Alla sera, davanti a Gesù Eucarestia riconsegno al Signore questi fratelli, dei quali ho fotografato nella mia mente e nel mio cuore il volto. Devo ammettere che da quando sono a Lampedusa qualcosa dentro di me è cambiato e affido al Signore ogni esperienza che vivo. Mentre parlo con lei, penso già che tra meno di un’ora sarò al molo per accogliere altri fratelli e mi carico di commozione; stasera quando mi ritroverò a pregare davanti al Signore sarà l’occasione per riconsegnare a lui quanto visto e vissuto. Questa esperienza non mi ha creato alcun disagio interiormente, sono felice di essere qui nel vivere una missione impegnativa che ho accettato fidandomi completamente di Dio, non ho voluto fare un sopralluogo prima di imbattermi in questa missione. Anche come comunità, vivace, stiamo cercando di integrarci. C’è una bella collaborazione con tutti, con le autorità e gli isolani. Siamo accolte, rispettate, in parrocchia ci rendiamo disponibili. E poi ogni mese viene a farci visita la responsabile del progetto, suor Antonietta Papa.
Il legame con la sua terra d’origine è ancora vivo?
La scelta del Signore ti fa superare qualsiasi difficoltà e qualsiasi fatica. Sono partita da casa a 19 anni, ogni estate sono tornata a San Giovanni in Fiore dalla mia famiglia, perciò le radici non le ho perse. Ma questa scelta del Signore verso il prossimo è prioritaria, grazia a Lui ho conosciuto diverse culture.