Sviluppare resilienza: #andràtuttobene non è un automatismo!

Sin dai primi istanti di questa triste esperienza ci ha fatto compagnia l’hashtag #andràtuttobene, un invito a pensare positivo; una dinamica psicologica che attiva processi cognitivi utili a generare sentimenti ed emozioni positivi, fondamentali per affrontare una situazione traumatica come quella odierna.

Oltre ad una “guerra batteriologica”, stiamo combattendo (ognuno di noi in fondo lo sa!) una guerra emotiva e psicologica. Ci sentiamo soli, impauriti, spesati e la sensazione è quella di affrontare un rischio sconosciuto, invisibile. Percepiamo sulla nostra pelle il dramma della lontananza, nonostante abitiamo H24 il continente digitale del web e dei social che accorciano le distanze fino a farci non solo sentire ma anche vedere i nostri amici, ma concretamente moriamo da soli, senza neppure il funerale!

Sin dai primi istanti di questa triste esperienza ci ha fatto compagnia l’hashtag #andràtuttobene, un invito a pensare positivo; una dinamica psicologica che attiva processi cognitivi utili a generare sentimenti ed emozioni positivi, fondamentali per affrontare una situazione traumatica come quella odierna. È oggettivamente fondamentale, basilare e necessario trovare in noi stessi delle ragioni per non cadere nell’angoscia e nella paura e per non farci soffocare da esse. Riflettendo con me, in questi giorni, ho trovato alcuni elementi che credo possano rivelarsi utili nella gestione delle emozioni di questo tempo. Tutti possono sintetizzarsi con un vero e proprio (input) ordine da dare al nostro cervello: Sviluppare Resilienza, cioè incrementare in noi la capacità di far fronte in maniera positiva a eventi negativi. Ma che cos’è la resilienza: nel corso degli anni, le definizioni attribuite alla resilienza sono state differenti. Ad ogni modo, è possibile descrivere la resilienza psicologica come la capacità umana di affrontare con successo un evento molto stressante e/o traumatico che suscita sentimenti negativi e provoca sofferenze, ritornando alla condizione precedente l’evento in questione e uscendone rinforzati se non addirittura trasformati. In altre parole, la resilienza psicologica può definirsi come la capacità di affrontare, resistere e riorganizzare in maniera positiva la propria vita dopo aver subito eventi particolarmente negativi e traumatici. È importante precisare che la resilienza non deve essere confusa con la resistenza, ossia con la capacità di una persona di resistere – quindi di opporsi, non di adattarsi – a particolari fattori, pur sempre di natura negativa o comunque in grado di perturbare le condizioni di normalità.

Ciascuno di noi può potenziare la propria resilienza, cioè: io e solo io posso sviluppare la mia resilienza, non un amico, non un genitore, né il padre spirituale e nemmeno lo psicologo che può darti solo degli strumenti, ma l’unico artefice della mia resilienza sono io. Ognuno di noi è inconsciamente motivato a sviluppare resilienza soprattutto quando si è immersi in circostanze esterne e particolari come l’odierna pandemia.

Per sviluppare la resilienza, è comunque necessario adottare un atteggiamento che sia ovviamente costruttivo, organizzarsi restando sensibili ed aperti alle opportunità che la vita può offrire in ogni situazione, anche negativa, senza mai alienare la propria identità. Si, anche negativa: possiamo dire che anche Gesù, quando fece visita all’amico Lazzaro che era gravemente malato sviluppò la sua resilienza, disse infatti: «Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio, perché per essa il Figlio di Dio venga glorificato» (Gv 11,4).

Con un atteggiamento resiliente possiamo gestire al meglio il nostro stress, utilizzando le nostre risorse in modo utile per noi stessi e per chi ci circonda. Fondamentale in questo esercizio è per esempio la ricerca di vere motivazioni che ci incoraggiano verso un atto di volontà. Il cristiano, solo per dare una delle molteplici piste, può trovare un ulteriore appiglio biblico ad un atteggiamento resiliente, pensiamo a Paolo quando dice nella lettera ai Romani “Per coloro che amano Dio, tutto concorre al bene” (Rm 8,28) in questo modo la casa può essere vista come un rifugio anziché una prigione, il tempo come ritrovato, come un tempo di grazia e non come un tempo perso.

Un tempo per conoscere se stessi, gustare quelle relazioni familiari apparentemente così vicine ma effettivamente così lontane. Dunque, #andràtuttobene non può essere una frase che genera in noi una forma di quietismo, (scriviamo #andràtuttobene sui social e poi #nonrestiamoacasa, sic!), senza incoraggiarci a creare in noi occasioni per vivere bene questa circostanza. #andràtuttobene è un buon punto di inizio per poi prendere in mano la nostra realtà umana ed impegnarci, ad “essere costruttivi” piuttosto che a “dirci costruttivi” e a sviluppare, dunque in noi, quanta più resilienza possibile!